venerdì 31 gennaio 2014

31 gennaio 2014. Si diceva, una volta, che sul portone d'ingresso dei manicomi apparisse una scritta molto significativa: “Non tutti qui, ma sparsi per il mondo”. Oggigiorno i manicomi non esistono più, ma di sparsi per il mondo ne siamo ancora parecchi. Mi pare di aver già accennato, in queste pagine, che all'inizio di dicembre avevo notato che il fuoribordo si lasciava dietro una scia sospetta, e non sapevo distinguere se fosse l'olio o il carburante. Ho continuato così per un po', visto che a volte si vedeva e altre non si vedeva, finché alla fine mi sono deciso e sono andato dal meccanico. Diagnosi catastrofica. C'era un buco, me l'ha fatto vedere, era proprio un buco, nella coppa dell'olio. Prognosi un paio di settimane, spesa centottanta euro. Una batosta, per un due cavalli pagato appena settecentocinquanta euro, al quarto anno di vita, utilizzato solo per uscire dal porto e per raggiungere l'attracco una volta rientrato. Cose che capitano, naturalmente. Il vero guaio, però, è stato il mio atteggiamento noncurante quando il giovanotto mi ha detto che avrei dovuto aspettare un paio di settimane. Dal tono di voce si capiva che si sarebbe aspettato un minimo
di protesta o quantomeno che gli avessi chiesto di riconsegnarmelo un po' prima. Al contrario, un po' perché in quei giorni non c'era alito di vento, un po' perché ci tenevo che avesse avuto tutto il tempo necessario per ripararmelo senza lasciare strascichi, gli ho detto di stare tranquillo e di non preoccuparsi, perché tanto sarei uscito lo stesso e se fosse stato necessario mi sarei aiutato con i remi. Persistendo totale assenza di vento, di tempo in realtà gliene ho lasciato anche di più, perché gli ho telefonato dopo quasi tre settimane. Informazione gratuita. Il cliente da lei chiamato non è al momento ecc. ecc. In seguito ci ho riprovato per due o tre volte al giorno, ma non c'è stato verso. La vera sorpresa l'ho avuto andando a vedere di persona. Officina chiusa. Il campanello non si sente neppure. Fuori non ci sono di alcun genere, quindi la buona notizia è che deve essere ancora vivo. Aspetto un paio di giorni e provo a richiamare. Il cliente da lei chiamato non è al momento ecc. ecc. Per farla breve, passa ancora un paio di giorni, incontro un amico sul pontile e gli chiedo se per caso non abbia notizie dello scomparso. Le ha. Si è preso un mese di ferie. E' andato nelle Filippine a trovare la fidanzata. Nelle Filippine, per un mese.

giovedì 30 gennaio 2014

diario di un qualsiasi nessuno

29 gennaio 2014 Quanti saranno in Italia a chiedersi che cazzo sarà questo impeachment da affibbiare al vetusto Napolitano? Politici, giornalisti, mezzi busti (pardon, ora non più, da diversi anni si presentano tutti interi) della televisione, devono aver scoperto in questa parola connotazioni erotiche, ci si riempiono la bocca e il cervello. Che ne penserà un'ordinaria casalinga, che magari ascolta la tv mentre sparecchia la tavola, chiedendosi se il marito rischia il licenziamento da un momento all'altro, se i soldi che ha basteranno fino alla fine del mese, nel momento in cui per la prima volta, e forse anche in quelle successive, sbatte il muso contro questo mostro? Si chiederà se Napolitano non sia per caso un impiccione, perfino che lo vogliano impiccare e non so che altro. Non sarebbe più semplice, e anche più italiano, dire che vogliono mettere il presidente in stato d'accusa? No, certo che no, se no come farebbe tutta questa gente a giocare a fa' l'americano? Ve lo ricordate la buonanima di Carosone? Tu vó' fa' l'americano, 'mericano, ma si nato in Italy ecc. Era solo un ragazzo che fumava le Camel, beveva Whisky and soda e ballava il rock and roll. Tutto qui. Quelli cui mi sono riferito più sopra sono qualcosa di molto peggio. Credo che in tutta Europa l'Italia sia il primo paese in assoluto quanto a ignoranza nel settore Lingue straniere. Lo è sempre stato. Anche al tempo dei Romani, che però non ne avevano bisogno, avendo fatto del Latino l'inglese di quei tempi. Oggi il Latino lo abbiamo quasi abolito nella scuola italiana, troppo difficile per cervelli che ci si sforza di impoverire di anno in anno, mentre gode di grande considerazione in molte altre nazioni, perfino negli Stati Uniti d'America. Oggigiorno abbiamo l'inglese dei nostri tempi, e sarebbe buona cosa impararlo, e non solo per affrontare un viaggio all'estero senza figurare incapaci di intendere e di volere, ma soprattutto se si hanno ambizioni nelle alti livelli della comunicazione e della politica. Accidenti a me, ci sono cascato un'altra volta. Mi sono fatto serioso e rischio di diventare una rottura di scatole. Dopo pranzo ho fatto una passeggiata sul molo. Minaccia pioggia e fa un freddo cane. Non si vede una vela neanche con un binocolo della Marina. Il peggio è che si prevede pioggia per altri sei o sette giorni. Navigare, neanche a pensarci. Coprire la barca, questo sì, l'ultimo fortunale ne ha affondate tre, solo sul nostro pontile.

martedì 28 gennaio 2014

diario di un qualsiasi nessuno

28 gennaio 2014. Tutto ciò che ci succede diviene esperienza, e l'esperienza non va assolutamente dispersa nel dimenticatoio dai sussiegosi mortali, sempre sicuri di trascorrere in vita i prossimi dieci minuti. Tutte le esperienze, anche le meno significative, andrebbero raccolte in un libro, da rileggersi periodicamente, avidamente, più ingordi di Gargantua e Pantagruel. Registro questa piccola esperienza per ricordarmene ogniqualvolta uscirò di casa con un qualsivoglia programma. Domenica, diciassette e trenta, è già piuttosto buio. Salgo in macchina con mia moglie per andare a vedere “Tutta colpa di Freud”. Di solito scegliamo fra tre sale cinematografiche, trascurando la multisala, che ci rimane un pochino scomoda. Prima di uscire, ho già verificato con attenzione in quale delle tre sale viene proiettato il film che ci interessa e a che ora. Accensione. Telecomando per il cancello automatico. Funziona. Mia moglie ha una resipiscenza tardiva e si ricorda dell'ombrello. E' nell'altra macchina. Scendo e vado a prenderlo. Si richiude il cancello. Risalgo in macchina e avvio il motore. Telecomando per il cancello automatico. Non funziona. Nel prenderlo da sotto il cruscotto, si è sganciata la batteria. E' caduta sul tappetino, dalla parte di mia moglie. Intabarrata com'è, con il freddo che fa, con un borsone sulle ginocchia, non riesce a muoversi. Deve scendere. Accendo la luce interna. La batteria non si trova. Tolgo i tappeti, ficco le dita in tutti gli interstizi possibili. Non c'è più. Il tempo passa e rischiamo di perderci il film. Pazienza, la troveremo. Scendo di nuovo e vado a prendere il telecomando dell'altra auto. Funziona. Accensione e via. Resta qualche preoccupazione per il parcheggio, più difficile da trovare la domenica che cento euro per la strada. Però se ci sbrighiamo... Di colpo ci sbarra l'ingresso al sottopassaggio un divieto grande quanto un sole di mezzanotte. Niente da fare. Ce n'è un altro un un mezzo chilometro più avanti. Lo infiliamo e torniamo indietro. Si fa per dire. Cento metri e la strada è già intasata. I minuti passano...La fila procede lentamente, ma per fortuna procede. All'ingresso del corso principale, un altro sole di mezzanotte. Ci sbarra la strada e ci incanala in una via laterale. Di nuovo in processione. Lenta. I minuti passano...La processione continua finché incredibilmente non sfociamo in una via meno ingombra che però è dannatamente fuori rotta. Mi concentro per trovare una scorciatoia fra vie e viuzze e rimedio un parcheggio, sia pure un po' stortignaccolo, a un duecento metri dal cinema. Mancano meno di cinque minuti all'inizio. Corriamo fino alla biglietteria. Lì ci informano, con discreta noncuranza e anche con una scrollatina di spalle, che c'è stato un errore nell'inserire la programmazione sul sito e che “Tutta colpa di Freud” viene proiettato in un altro cinema. Inutile rifiutarsi di crederci, perché è vero. Torniamo sui nostri passi, con il fiatone nuovo e quello in parte già accumulato, e raggiungiamo l'auto. Senza perdere tempo a mandare accidenti, percorro rapidamente (questa volta è una zona poco trafficata) un paio di chilometri, occupo l'unico posto libero di un piccolo parcheggio a due passi dal cinema, raggiungiamo la biglietteria. Il film è appena cominciato. Entriamo e la prima impressione è di un gran pienone con tutti i posti occupati. Assuefacendosi gli occhi alla luce, cominciamo a scorgere alcuni vuoti. Pochissimi e mai appaiati. Ci rassegniamo e ci sediamo in due file diverse. Per fortuna il film non è male, ci rilassiamo e riprendiamo fiato. Alla fine si riaccendono le luci e getto uno sguardo dalle parti di mia moglie. E' già in piedi. Mi distraggo un secondo e quando mi volto di nuovo non la vedo più. Vado di corsa. E' inciampata in qualcosa ed è caduta a sedere sugli scalini. Per fortuna non si è fatta niente. O quasi.

domenica 19 gennaio 2014

diario di un qualsiasi nessuno

Ho appena finito la mia prima lettura di Oriana Fallaci, “ Niente e così sia”. Sono arrivato un po' in ritardo con la Fallaci, lo confesso, ma mia figlia ha pensato di rimettermi in carreggiata e me lo ha regalato a Natale. Tutto sommato, devo dire che mi è piaciuto. Non sono d'accordo con la conclusione finale, e mi dispiace non condividerla, vista la natura straordinaria di questa donna, ottima giornalista, scrittrice, ardimentosa e anche un po' incosciente, che va a rischiare la vita in Viet Nam per comprendere gli aspetti più complessi dell'uomo. A suo dire, risaltano evidenti nel contesto di una battaglia, di una guerra. Non credo che vi sia andata solo per questo. Ve l'ha attratta il fascino della guerra, da cui si sente rapita, quel contesto di vita precaria e morte a ogni pié sospinto, che sfortunatamente ben sintetizza la condizione esistenziale. Lo stesso fascino che attrae le migliaia di corrispondenti di guerra, alcuni disposti perfino la viaggiare di tasca propria, mettendo sul piatto la propria vita, pur di poterci essere e poter sentire con i propri orecchi, vedere con i propri occhi le reali sembianze della morte. E sfidarla. Incidentalmente, li ritengo il solo genere di giornalisti che meriti rispetto. Innumerevoli le volte che questa donna ha sfidato la morte, ha sfiorato una morte da soldato, senza poter immaginare che ad attenderla, a distanza di tempo, ce ne sarebbe stata un'altra più comune e più abbietta. Sotto la sua lente ella scruta soprattutto i signori della morte, quelli che per uno sbalzo d'umore o per eccesso di stanchezza possono decidere in un attimo chi fa la fila da una parte e chi dall'altra, chi vive e chi muore. Il tutto sullo sfondo di una totale inutilità della guerra, che pure è nella natura dell'uomo fin dai primordi. L'uomo, si chiede la Fallaci, va assolto, può sostituire il Dio buono in cui lei non crede? Ebbene, la sua conclusione era un no secco, ed ero tutto dalla sua parte e senza riserve, malgrado la mia educazione cattolica mi rendesse difficile perfino affrontare un problema del genere. A poche pagine dalla fine, quel no si è cambiato in un sì. Come è potuto accadere che dopo tante pagine per arrivare a un sofferto no, il giudizio si sia ribaltato? Per via di una strage di studenti da parte delle forze dell'esercito e di polizia avvenuta in Messico. Ci si sera trovata in mezzo e aveva riportato tre ferite di arma da fuoco. Vi aveva anche perduto amici fra gli studenti in protesta. Avrei giurato che l'idea del no ne fosse uscita rafforzata. Per quel che può valere, tuttavia, mi aspettava una delusione. In quei tragici momenti lei sente la presenza dell'uomo nel movimento studentesco, che ha la forza e il coraggio di ribellarsi alle angherie del governo, più in generale le crudeltà e le angherie dei potenti verso gli indifesi. Discorso toccante, ma poco veritiero e soprattutto ingenuo. Io stesso non riesco a perdonarmi l'uso di tale aggettivo nei confronti di una donna tanto notevole, di una vera giornalista che ha diritto alla più alta stima da parte di chiunque. Purtroppo In questo mondo l'uomo non esiste davvero, o meglio non conta. Ciò che conta è il ruolo, e il ruolo ha le sue regole. Chi occupa un ruolo di sindacalista cambierà le proprie regole quando occuperà un ruolo di industriale e odierà i sindacalisti. Uno studente contestatario nel ruolo di un agitatore cambierà le proprie regole entrando nel ruolo di un poliziotto e in quella disgraziata vicenda messicana avrebbe sparato sugli studenti. Nell'organizzazione sociale che ci siamo dati l'uomo non esiste e non può certo sostituire il Dio buono in cui non crediamo. .

venerdì 17 gennaio 2014

Quando c'è vento sono felici i velisti, quando non c'è gioiscono i pescatori. In genere si tratta di un'equa ripartizione in modo che velisti e pescatori possano convivere sulle acque senza problemi. Il fatto è che da un mese non c'è sentore di vento e la barca sta in mare, all'attracco, solo per accumulare vegetazione sotto la carena. Se si vendesse potrei mettere su una bancarella. La crisi di astinenza può anche farsi grave, per cui ho anche provato a uscire dal porto con un nodo di vento, ma è stato solo un atto disperato, frustrato da qual po' di corrente che in qualche modo riusciva a entrare. Sarei potuto uscire con il fuoribordo, se non fossi stato vittima di una concomitanza. Non so se si sa in giro, ma le concomitanze possono rivelarsi un flagello. Ce ne sono di benigne, ma anche di maligne. Per fortuna nel mio caso si è trattato di una concomitanza benigna. Prima di Natale ho portato a riparare il fuoribordo, che perdeva olio, da un concessionario a una quindicina di chilometri. Quando l'ho ritirato, ricattato con settanta euro, ne perdeva più di prima. Mi sono ricordato di un meccanico a Civitanova e gliel'ho affidato, sempre prima delle feste. Questo di euro ne ha chieste centottanta, ma dicono che sia bravo. Gli telefono ormai da due settimane, senza riuscire a comunicarci. Cliente non raggiungibile. Alla fine decido di informarmi e scopro finalmente l'esecrata concomitanza. Il giovanotto si trova nelle Filippine, a che fare?  in visita alla fidanzata, naturalmente una filippina. Dov'è la concomitanza? Credo che siate in grado di scoprirlo da soli. Quanto al lato esecrabile della concomitanza, quello lo conosco io, che non riesco più a uscire al porto.

giovedì 2 gennaio 2014

Sto cercando di rileggere il mio ultimo thriller per correggere possibili omissioni, che a volte si traducono in errori dei quali si è del tutto innocenti, anche se poi prova un po' a spiegarlo a chi non ci crede e ti punta il dito contro. Faccio un esempio. C'era un tempo in cui scrivevo articoli di costume sulla pagina cittadina di un giornale piuttosto in voga nella mia zona, anche se la cosa durò sì  e no un anno, soprattutto per il fatto che fra me e il redattore capo ci fu reciproca repulsione al primo sguardo. Di articoli, tuttavia, ne vennero pubblicati un buon numero, ma la soddisfazione che mi dettero i primi andò via via scemando, finché alla fine decisi di non leggerli più. Per via degli errori. Manco a farlo apposta, almeno credo, si trattava di errori che superavano ogni possibile cattiveria. Una cosa è pubblicare maregiata invece che mareggiata, perché è evidente che alla stampa è scappata una g, e nessuno può accusarti di niente, altra cosa è invece leggere un uovo solo invece che un uovo sodo o una ragazza soda invece che una ragazza sola, o un fatto eccezzionale piuttosto che un fatto eccezionale. Insomma, gli errori di stampa non sono tutti uguali e a me, chissà perché, capitavano sempre i più perfidi. Lasciamo perdere gli articoli che terminavano con una virgola, lasciando il seguito alla fervida (tale era ritenuta, ovviamente) fantasia del lettore, ma ne ricordo uno, in particolare, che fu una mazzata in testa. Descrivevo le mie evoluzioni con la barca a vela all'interno del porto, quando ero alle prime armi e, malgrado l'entusiasmo del neofita, non mi fidavo ancora di uscire in mare aperto. D'un tratto vidi apparire sul molo, in alto, proprio davanti a me, un pescatore che conoscevo, che fra l'altro aveva anche progettato e tagliato la mia prima vela, che si stagliava contro il cielo con l'imponenza di un gigante. Scrissi D'un tratto vedo Martin, che si staglia sul molo di levante, imponente come Nettuno...e ricordo di aver pensato che a Martin, sapesse o meno chi fosse Nettuno, avrebbe fatto piacere leggerlo e  che avrebbe particolarmente gradito quell'imponente, che rispecchiava mirabilmente la sua struttura fisica. Le belle frasi creano aspettative, come ogni altro atto creativo, ma quando lessi l'articolo ebbi la netta sensazione  che in quella frase fosse scoppiata una mina. Ciò che finì sotto gli occhi dei lettori, nonché dello stesso Martin, recitava: . D'un tratto vedo Martin, che si staglia sul molo di levante, impotente come Nettuno...Avete letto bene, Martin era impotente come Nettuno, e viste le scarse probabilità che Martin sapesse chi era Nettuno, figurarsi come l'avrà presa. Chiedo scusa, ma ho divagato un po' troppo, ho perduto il vento e me ne sono andato scadendo dietro la corrente. Volevo parlare della rilettura del mio ultimo romanzo, "L'ultimo plenilunio", e ho finito per raccontare di Martin. Come si dice? Ho perso il filo.