sabato 9 giugno 2012

diario di un qualsiasi nessuno


Sabato 9 giugno 2012
In questo ultimo periodo la terra ha tremato e ha continuato a tremare e con tutta l’indifferenza di cui è capace ha distrutto case, chiese, opifici di ogni genere, privando della vita 27 persone, senza distinzione fra giovani e vecchi, uomini e donne, preti e laici, ricchi e poveri. Vedere tante costruzioni distrutte o irrimediabilmente lesionate non è stato un bello spettacolo, né lo sono stati gli sciacalli che hanno dovuto essere tenuti a bada dalle forze dell’ordine, né chi ha cavalcato la morte di tanti poveri disgraziati per rivendicare diritti, né il teatrino non-stop messo su dalle TV, in concorrenza fra di loro nel mostrare immagini intersperse di Le scosse sono state avvertite dai nostri inviati, Abbiamo ripreso il momento della scossa, Siamo in grado di mostrarvi il crollo in diretta ecc. ecc.  Il solo lato positivo è stato quello di averci mostrato di che tempra sono gli emiliani. Nessuno a piangersi addosso, tutti impazienti di poter ricominciare a lavorare. Per rispetto di questi italiani, non credo che farò altri riferimenti a questa tragedia.  

giovedì 7 giugno 2012

diario di un qualsiasi nessuno


Giovedì, 7 giugno 2012
Il 3 di febbraio del 2010 ho cominciato a scrivere questo diario di un qualsiasi nessuno con queste precise parole: Siamo alle solite. Entri in una struttura sanitaria felice come una pasqua e quando esci hai la bava e le corna, e anche se non hai incornato nessuno, hai tanta voglia di farlo. A oltre due anni di distanza, con i casini combinati dal governo Monti che potrebbero, come ormai in molti affermano, togliere all’Italia ogni speranza di ripresa, con quelli della Fornero, cui deve esser parso l’uovo di Colombo del risparmio mandare la gente in pensione evitando poi di pagargliela, con il terrorismo mediatico e il teatrino organizzato ogni giorno dai politici che aspettano solo che Monti gli rimpingui le casse per poter disporre dei soldi dei contribuenti,  a oltre due anni di distanza, dicevo, le cose non sono cambiate.  Ieri ho accompagnato mia moglie alla ASL per una radiografia all’omero, tanto per accertare che dopo una brutta caduta di diversi mesi fa le cose fossero tornate a posto. La lascio all’ingresso e vado a parcheggiare. Quando la raggiungo, è allo sportello dell’accettazione. Un tizio alto, con un cranio perfettamente rasato e luminoso, è impegnato in una sorta di conferenza, ma in realtà si sta rivolgendo a mia moglie. Dal modo in cui parla, si capisce però che ha bisogno di un pubblico e poiché ha davanti a sé un sacco di gente che aspetta  il proprio turno, ne approfitta spudoratamente. Assume toni didattici, compiacenti, pazienti e perfino tolleranti nell’apparente sforzo di spiegare a mia moglie i termini del problema. Gravissimo, senza soluzione. Il che comporta il pagamento di un ticket maggiorato di venti euro. Decidiamo di entrare nel reparto e chiedere se davvero dobbiamo sottometterci all’estorsione. La prima infermiera che incontriamo si mette a ridere e dice che secondo lei nessuno si rifiuterà di eseguire la radiografia. Per maggior sicurezza ne chiama un’altra che si incazza perfino per via di chi crea difficoltà invece di agevolare il lavoro. Prende in mano l’impegnativa e va a parlare con l’oratore. Problema risolto in meno di un minuto. Nel giro di un quarto d’ora abbiamo finito e siamo già in possesso del foglio per il ritiro del referto, fra una settimana. Pagheremo allora, con una nuova impegnativa. Tutto qui. Innocente escamotage, non fa male a nessuno. Malgrado l’incazzatura, esperienza edificante. Su cinque operatori contattati (includo il radiologo, ovviamente, e anche una signorina allo sportello che, si capiva dell’espressione, non approvava la concione di cranio luminoso, molto verosimilmente il suo capoccia), un solo rompi.  Percentuale del venti percento, avrebbe rilevato un sondaggio DOXA, con buone possibilità, dovendo proprio entrare in una ASL, di imbattersi in gente illuminata all’interno del cranio. Come si spiega, allora, che parlare male delle ASL è come sparare sulla Croce Rossa? E’ mai possibile che si debba sempre incocciare quel dannatissimo venti per cento di oratori, mancati poeti e gran rompicoglioni?    

mercoledì 6 giugno 2012

diario di un qualsiasi nessuno


Martedì, 5 giugno 2012
Quanto a scorrevolezza del verbo, mi sento arrugginito come una vecchia ancora abbandonata da qualche parte in un capannone. Nell’ultimo periodo mi sono dedicato, più che altro, a una attività di manutenzione del mio personale patrimonio linguistico. Non so se ne ho già parlato, ma mi sto rileggendo, devo dire con gusto, un romanzo di guerra scritto da un aviatore tedesco. E’ intitolato Goetterdaemmerung ueber der Normandie, Il Crepuscolo degli dei sulla Normandia.  Dal titolo si capisce già che aria tira per i tedeschi. Oltre che rileggermelo, mi soffermo spesso a verificare e precisare il significato di alcuni vocaboli, a godere di qualche particolarità sintattica, a cercare di comprendere il vero stato d’animo dei soldati tedeschi, più che certi, in quei momenti, che Sigfrido stava passando la mano. Diciamo che si tratta di una rilettura centellinata, privilegiata, da cui sgorgano piacere e conoscenza. Al tempo stesso mi sono impegnato nella lettura spicciola di un thriller di John Grisham, tradotto in tedesco con il titolo Der Anwalt, cioè L’avvocato. In proposito, due osservazioni. E’ preferibile tenersi alla larga dalle opere più recenti di romanzieri che da decenni sguazzano senza ritegno in una fama più che meritata, ma che a fine carriera possono permettersi di pubblicare, sempre senza ritegno, opere che non avrebbero loro consentito neppure di averla, una carriera. Con L’avvocato sono a pagina centottanta e spero ancora in qualche luce improvvisa che mi folgori sulla via di Damasco. Temo tuttavia che sia la stessa speranza che mi aveva sostenuto fino all’ultima pagina di The Broker, pure di Grisham, cioè fino al momento in cui mi sono inequivocabilmente convinto di essere stato preso per il..per i fondelli per centinaia di pagine. Non è il solo, Grisham, a divertirsi così. Tre o quattro anni orsono ho ricevuto come regalo di compleanno un thriller di John Le Carré. Dico, John Le Carré. Confesso che il titolo non mi aveva per niente entusiasmato, Amici assoluti mi pareva più il titolo di un saggio di sociologia a buon mercato. Però mi sono detto che Le Carré ha scritto La talpa e non è il tipo da scrivere cazzate. Invece le scrive, e come. Sono arrivato alla fine solo come segno di rispetto del nome che porta. I nomi vanno rispettati, almeno quelli. I nomi sono grossi chiodi piantati a mo’ di appigli in una parete alta quanto la fine del tempo, grazie ai quali abbiamo potuto arrampicarci fino a dove siamo ora. In Russia, molto prima della rivoluzione di ottobre, il nipote di un famoso scienziato si presentò a un esame gravemente impreparato e non fu in grado di rispondere neppure ad una delle tre domande che gli vennero sottoposte. L’esaminatore non ebbe scelta, l’esame era chiaramente fallito, ma non si sentì di scrivere un’insufficienza sotto un nome per cui aveva tanta venerazione. In segno di rispetto, passò lo statino allo studente e lo pregò di annotarvi l’insufficienza di propria mano. Dieci minuti fa, quando mi sono seduto al computer, avevo voglia di scrivere qualcosa sulla piega che aveva preso il pomeriggio, invece sono finito in Russia, ancora peggio in una scuola. Sono tornato da poco dal pontile, dove ho potuto de visu ispezionare il meteo. Vento forte, sopra i venticinque nodi, mare mosso, perfettamente adeguato al vento, condizioni ideali per un vero sballo. Come al solito, però, è la consapevolezza a rendere l’uomo codardo, e la mia personale consapevolezza riguarda le condizioni dello scafo ultraquarantenne. Con la vetroresina  ridotta allo spessore di un foglio di carta velina e la conseguente ridottissima resistenza alla trazione delle sartie e ad ogni forma di pressione esterna e anche interna, meglio soprassedere. Basta un dannatissimo secondo perché il divertimento e lo sballo si trasformino in una estenuante operazione di recupero di fiocco e randa, trascinati in mare dall’albero, per il cedimento di una sartia, anch’esso da recuperare senza dimenticare il boma. Tante amenità se  sei fortunato e l’incidente non ti fa scuffiare. In caso contrario, ti ritrovi in acqua, con un mare del cazzo e sono cazzi tuoi. Rinunciando mi sono fottuto il pomeriggio, e devo accontentarmi della compagnia di questa pagina di diario, ma  la prudenza ha preteso voce in capitolo e ho dovuto accordargliela, per non rischiare di fottermi del tutto. Sono molto più arrugginito di quanto mi sentivo all’inizio di questa pagina. Infatti mi sono dimenticato per strada la seconda osservazione a proposito di Der Anwalt, L’avvocato di John Grisham, scritto originariamente in inglese, con azione che si dipana in ambiente americano, tradotto in tedesco. Ecco l’ostacolo. Quando leggo Goetterdaemmerung ueber der Normandie tutto fila liscio, non provo alcun senso di dissociazione  fra i fatti che vi vengono narrati e la lingua che viene usata per farlo, né fra la lingua e i sentimenti che vi vengono espressi. Perché il libro è stato scritto da un tedesco, nella propria lingua, in ambiente tedesco (la Normandia era occupata dai tedeschi) e tutto fila liscio e in armonia. Quando leggo Der Anwalt, è una fatica conciliare una lingua rigorosa come il tedesco con il modo in cui si esprimono i personaggi americani, in ambiente americano, nello stile americano. Insomma, si avverte una discrepanza impossibile da ignorare. Sarebbe facile obiettare che la stessa cosa dovrebbe accadere con l’italiano, forse anche a ragione, ma certamente in misura meno rilevante. In primo luogo per via di decenni di doppiaggi cinematografici interspersi di scritte, musiche e canzoni in lingua originale che lentamente ci hanno portato ad avvicinare le due culture, forse anche troppo, visto che tutta la merda di natura socio-televisiva ci piove addosso dall’America, ma anche per l’innegabile fatto che la sintassi italiana meglio si adatta a quella inglese. La cosa appare poco credibile, trattandosi di una lingua anglosassone e una neolatina, ma di fatto non lo è. Eviterò di spiegarne il perché, per non minare l’integrità degli zebedei di qualcuno. Forse lo sto già facendo, perché ancora non la smetto. Concludo perciò d’urgenza, con il proposito, d’ora in avanti, di evitare le traduzioni e leggermi le opere originali in ciascuna lingua. Ci voleva tanto?