mercoledì 30 novembre 2011

diario di un qualsiasi nessuno

30 novembre 2011. Sta per andarsene l’ultimo giorno di novembre del 2011, mai più ne vivremo un altro. Domani sarà diverso, molte vite finiranno, altre avranno inizio, c’è chi finirà in prigione, chi ne uscirà, chi si sposerà e chi divorzierà, forse anche chi ammazzerà qualcuno o ne verrà ucciso, insomma, molti piangeranno, altri sorrideranno, il mondo sarà differente e la vita si sarà accorciata di un giorno. Ricordo una canzonetta da varietà, che terminava sempre con la stessa battuta –In fondo in fondo, a noi, che ce ne cale?- A me niente, assolutamente niente, visto che nessuno può farci niente. Che, vogliamo metterci a parlare di destino? Diocenescampi. Stamattina, al porto, faceva un freddo siberiano e alle dieci e mezzo spirava ancora una discreta brezza di terra. Si sa come funziona. Di notte la terra si raffredda più in fretta dell’acqua, perciò l’aria si muove a cercare sollievo verso il mare. Più tardi, però, la terra si riscalda di nuovo e l’aria se ne torna dal mare. In genere però sulla brezza di terra si può scommettere, ma non sulla brezza di mare. Perciò se si esce dal porto a vela, con il vento alle spalle, non si può essere certi di rientrare a vela, con il vento alle spalle. Tutto questo per spiegare perché non sono uscito, preferendo aspettare il primo pomeriggio, quando la brezza di mare avrà deciso se alzarsi oppure no. Ho letto un articolo interessante sul flagello delle vuvuzelas. Secondo una ricerca universitaria, causano un sacco di danni alla salute, e anche piuttosto gravi e qualcuno sta già pensando di proibirle nelle prossime competizioni internazionali. Secondo i ricercatori, dalle trombette vengono espulse milioni di goccioline di saliva che non disdegnano contagiare il prossimo con bacilli di qualsivoglia natura, inclusi, ovviamente, quelli della tubercolosi. Meglio lasciare che se le godano i sudafricani, a casa loro e senza invitati. Anche perché, diciamolo pure, è difficile seguire una partita di calcio e, possibilmente, godersela, con un jumbo che ti decolla negli orecchi per novanta minuti. Con aggiunta dell’intervallo dopo il primo tempo e salvo tempi supplementari. Scende la disoccupazione femminile, in aumento quella maschile, che, secondo me, corre inesorabilmente incontro alla confusione e al disagio del compiersi di una mutazione epocale. Si badi bene, mutazione, non mutamento. Uomini e donne, al giorno d’oggi, mutanti. Sia chiaro che non sto chiamando in causa un qualsiasi processo osmotico. Niente di tutto ciò. La mutazione riguarda l’animale prevaricante che muta, per una costante perdita di energia, di capacità decisionale, di determinazione e coraggio, in animale prevaricato, mentre dalla mutazione dell’animale prevaricato scaturirà il malversante. La disoccupazione, che continua a diminuire fra le donne e ad aumentare fra gli uomini, è già testimone di un processo inarrestabile e irreversibile. Tutti i giovani maschietti hanno avuto i loro problemi, nel corso dei secoli, ma quelli di questa generazione sono proprio sfigati. Figurarsi della prossima.

martedì 29 novembre 2011

diario di un qualsiasi nessuno

Venerdì, 25 novembre 2011. Un giovane latino-americano, credo, che vive a Formosa, ha scritto su Facebook –Somos lo que hacemos para cambiar lo que somos-. Non credo sia difficile intuire il significato e non sarebbe neppure necessaria una traduzione, ma siccome mi sono spesso incazzato con gli scrittori che inseriscono frasi in lingua straniera nei loro testi, evitando di tradurre per lasciar intendere che sono colti e si rivolgono a un pubblico colto, il significato è Siamo quello che facciamo per cambiare quello che siamo. Mi soffermo ancora un attimo su questa faccenda di chi mette in piazza la propria cultura, a volte anche a scapito di chi il libro l’ha comprato per migliorare la propria. All’università frequentavo il corso di lingue straniere e studiavamo la letteratura inglese su un testo scritto da uno studioso all’epoca molto in auge. Non ricordo con precisione il termine e mi rendo conto che si può stentare a crederci, ma la verità è che nella nota a pie’ di pagina, cui rimandava il numeretto, ho letto testualmente “le persone colte sanno certamente di cosa si tratta”, senza ulteriori spiegazioni. Merita un commento? Non credo. All’epoca, però, ricordo che mi irritai pericolosamente e mi convinsi che anche emeriti studiosi possono rientrare a pieno titolo nella categoria degli stronzi. Torniamo allo stato (ho poca pratica di Facebook, mi pare che certe frasi vengano chiamate così) del giovanotto latino-americano, che mi è piaciuta un sacco e mi ha fatto pure riflettere sul concetto di cambiamento. Credo che ciò che ha detto (se farina del suo sacco, i miei complimenti) possa valere per i grandi cambiamenti, quelli che definirei esistenziali e intendono modificare la condizione in cui siamo stati consegnati alla vita, cioè ignoranti, deboli e indifesi, incapaci di relazionarci con il nostro corpo e con gli altri. Un itinerario di tale cambiamento nell’essere si può riconoscere in siamo scolari, siamo studenti, siamo ingegneri, oppure, sono stati scolari, sono stati studenti, sono ingegneri. Ad ogni passaggio, infatti, si è ciò che si fa per essere poi qualcos’altro. E’ un tipo di cambiamento semplice, ma solo apparentemente scontato, se manca l’additivo segreto, chiamiamolo così, che altro non è che la volontà. La volontà di essere ogni volta ciò che facciamo per cambiare quello che siamo. La riflessione più ovvia è che non c’è additivo ogni volta che il cambiamento ci viene imposto, anche perché l’idea del cambiamento dovrebbe andare di pari passo con quella del miglioramento. Quale miglioramento? Miglioramento fisico, psichico, culturale, tecnico-artistico o che altro? Per avere risposta basta aprire la cassaforte delle aspirazioni di ciascuno. Ne consegue che raramente il bene altrui si consegue con la perentoria imposizione e al tempo stesso che il costante impegno per cambiare (migliorare) ciò che si è, potrebbe essere il vero segreto di un’esistenza felice. Volutamente trascuro i piccoli cambiamenti, a volte anch’essi di qualche importanza, ma quasi sempre legati ai riflessi condizionati. Nel duemilaundici, mi capita ancora di cominciare a scrivere una data con il numero uno e il numero nove. Di solito mi fermo in tempo, ma non sempre.

giovedì 24 novembre 2011

diario di un qualsiasi nessuno

Giovedì, 24 novembre 2011 – Pioviggina. Da un lato il telone è finito in mare. Nessun problema, l’avevo assicurato con una cima a prua e una a poppa. Non me la sono sentita di saltare a bordo sulla vetroresina scivolosa per dare una sistemata. Se ne riparla domani, pare che smetterà di piovere. Anzi, forse mi deciderò anche a rimediare una tavola da usare come passerella e smetterla una buona volta di saltare sulla barca come un pirata. Sono le cinque e ho già fumato due delle tre sigarette che mi sono imposto come dose quotidiana. Anche se sono mesi che vado avanti così, a volte non è facile. La cosa curiosa è che non provo più alcun vero piacere a fumare, anzi, capita pure che mi disgusti, o che verso la fine mi faccia presagire vomito, o che mi offuschi la mente e i riflessi come fossi avvinazzato, eppure, anche se volessi, sento che non riuscirei a rinunciare alle tre dosi giornaliere di nicotina né a liquidare la tentazione, sempre presente, di andare oltre. Per questo, aspirando una sigaretta, cerco sempre di imprimermi nella mente il disgusto, la sensazione di vomito, l’appannamento dei riflessi. Aiuta a superare i momenti cruciali, quelli in cui ti sembra di non avere scampo, come quello che sto affrontando proprio ora, mentre scrivo. Metto su anche un CD di Wagner, è uno che si fa sentire e mi distoglierà da tentazioni autolesionistiche. Durante una ricerca, proprio oggi, ho incocciato un sito di you tube, credo, dove per la prima volta ho assistito a una vera esecuzione sulla sedia elettrica. Doveva essere una di quelle meglio riuscite, perché tutto è finito nel giro di un minuto, almeno così mi è sembrato. Nessuno scuotimento del torace, nessun segno di sofferenza cosciente, nessuna sovrabbondanza di sudorazione. Solo una brutale contrazione dei nervi e, verso la fine, fuoruscita di sangue da una delle narici. Poi un cenno del direttore al boia, che ha subito alzato la leva. Il dottore ha constatato il decesso e gli spettatori, una quindicina, si sono alzati dalle loro poltrone e se ne sono andati. Tutto è stato fatto ordinatamente, secondo regole prestabilite e ben collaudate, da personale qualificato. L’idea della morte appariva del tutto aliena. Confesso di non averlo trovato scioccante, anche perché in un’epoca di televisione selvaggia è difficile distinguere la realtà dalla finzione, ma più tardi le immagini mi si sono ripresentate tirannicamente nella loro veste tragica. Il boia, incappucciato di nero, aveva abbassato una leva per uccidere un uomo di una trentina d’anni. Nel giro di un minuto l’uomo era deceduto. Un minuto prima aveva risposto a un’ultima domanda. Pare che il mondo intero sia contro la pena di morte, ma potrebbe essere lecito sospettare che siano in troppi, specie in tempi in cui si uccide per un insulto, per un parcheggio o per motivi ancora più futili. Il condannato aveva ucciso quattro bambini, mostrati dopo l’esecuzione, non in immagini statiche, ma nei video girati quando erano ancora vivi, mentre giocavano in giardino, scherzavano con i loro compagni o si abbracciavano ai genitori. Un’esecuzione è una pena disumana, nessuno può negarlo, non fosse che per il solo principio che un essere umano non può togliere la vita ad un altro, ma è innanzitutto inammissibile nell’eventualità di un errore giudiziario. Questi i motivi che pesano da una parte della bilancia, sull’altro piatto ci sono i quattro bambini. Non credo che potrò cancellare dalla mente lo sconcerto dell’esecuzione, anzi, mi penetrerà ancora più a fondo con il passare del tempo, ma, onestamente, ignoro se sarà mai tanto forte da paragonarsi a quello per quattro creature strappate ai loro giochi e ai loro affetti, alla vita, e scaraventate con scellerata violenza nell’abisso. Non è dunque per motivi umanitari che credo di potermi pronunciare contro la pena di morte, perché i motivi umanitari riguardano anche le vittime e di certo più degli assassini. E’ che mi vengono i brividi al solo pensiero che un innocente possa essere ucciso perché vittima di un errore giudiziario, e non posso non chiedermi se chi sbandiera contro la pena di morte ha una risposta concreta come la mia. Altrimenti, sbandierando a vanvera, si rischia di finire nella scia dei buonisti irresponsabili, che a furia di tacciare di fascismo e di razzismo (ignorandone anche il vero significato) coloro che sono preposti a tutelare l’incolumità dei loro simili, nonché di intolleranza e azioni disumane, rischiano di sprofondarci ancor di più in un inferno sociale, dove prima regola è tutelare i diritti dei delinquenti. Tra una riga e l’altra ho dovuto sbrigare diverse faccende, sono anche uscito un paio di volte e ho appena finito di cenare. Grazie anche a Wagner, ora posso abbandonarmi alla nicotina in piena tranquillità di coscienza.

mercoledì 23 novembre 2011

diario di un qualsiasi nessuno

Mercoledì, 23 novembre 2011. Immaginavo che sarebbe accaduto. Dopo una nottata di pioggia i ganci si sono scollati e una parte del telone si è sollevata. Fantastico. Le previsioni dicono che oggi non smetterà mai di piovere e andare a porre rimedio sarà a dir poco scomodo. Aggiungiamo che la barca è attraccata al pontile e che per entrarci e mettermi all’opera dovrò saltare sul minuscolo ritaglio di prua che riuscirò a liberare dal telone allungandomi come Tiramolla. Mettendo pure in conto che quel brandello di prua è malagevole e scivoloso (figuriamoci se piove), abbiamo un quadro significativo della situazione. Per fortuna ci sono anche le buone notizie. Sempre secondo le previsioni, oggi e domani le piogge saranno molto deboli. In conclusione, se non fosse già entrata una quantità eccessiva di acqua, la barca potrebbe reggere fino a venerdì. Sarà necessario un sopralluogo attento e, ancor di più, una stima affidabile. Pare che sia arrivato in Italia un clandestino figlio di puttana che salta le frontiere come rigagnoli d’acqua piovana. Ogni anno ne arriva uno così. Proprio come gli altri, non è venuto a cercare lavoro ma a rompere i coglioni. E’ del ceppo AH3N2 e se la prenderà soprattutto con gli anziani non vaccinati. Anziano avvisato… Questa faccenda degli anziani, secondo me, va chiarita. Da qualche tempo questo bollino di qualità corporee scadenti è stato applicato dagli emissari di nostra signora la TV a un’umana categoria di numero imprecisato e di non facile identificazione. Non è come dire ad esempio, i medici, gli idraulici, i deputati, gli imbianchini, i carcerati, gli insegnanti, i poliziotti e via di seguito, visto che per ciascuna di tali categorie è possibile, in un determinato momento, una identificazione e una quantificazione. Tutte professioni e mestieri, certo, ci ho messo anche i deputati, e potrei metterci anche i senatori, e a nessuno venga in mente di insinuare che si tratti di professioni trasversali. Sono diventati mestieri come gli altri, fra i più retribuiti e, anche di questi tempi, con le migliori prospettive di pensionamento. O.K., tiriamo una prima conclusione, vale a dire che l’anzianità non è una professione, ma una condizione che vale trasversalmente per tutte le professioni e i mestieri. Allora, se è una questione di età, qual è l’esecrata soglia oltre la quale si entra in una categoria non più autosufficiente e malamente tollerata, colpevole di divorarsi il pubblico denaro imponendo costi iperbolici alla pubblica sanità? Che lo sappiano gli emissari di nostra signora la TV, che si rivolgono agli over 65 ad ogni minaccia di epidemia di influenza insistendo perché corrano a vaccinarsi, o anche certi politici, che nei giorni in cui la calura estiva si fa sentire consigliano di accompagnare gli anziani al supermercato a godersi il fresco dell’aria condizionata, anche se, per inciso, ad essa vanno spesso addebitate tante poco godibili polmoniti estive? Provate a immaginare Napolitano, da un pezzo ultraottantenne, accompagnato dai famigliari o dalle guardie del corpo a scialare alla frescura di un supermercato. Non è divertente? Ne consegue che se tentassimo una identificazione degli anziani in base ai famosi over 65, l’operazione risulterebbe arbitraria e il risultato inaffidabile. Ma allora, chi cazzo sono gli anziani? Perché tanto commendevole ansia per la loro salute? Non saranno mica i pensionati, per definizione improduttivi e a carico dello stato, che, come ciò non bastasse, gravano pure sfacciatamente sull’assistenza sanitaria, e, per essere più precisi, quelli cui la pensione non consente di scegliersi lo specialista o il chirurgo a pagamento? Cazzo, sto sparando alzo zero, si vede che è proprio una giornata storta. Colpa del telone sghembo. Speriamo che stanotte non piova.

martedì 22 novembre 2011

diario di un qualsiasi nessuno

22 novembre 2011. Pioggia fino a giovedì. Incluso. Il telone sopra la barca l’ho messo in fretta, perché già piovigginava, e non mi sono accorto che era capovolto. Inevitabile conseguenza, gli occhielli non combinavano con i ganci ai due lati, diversi ganci si sono scollati e, nel complesso, ne è sortito un lavoro sbilenco e malsicuro e non sono neppure certo che regga a un vento forte o a una pioggia pesante. Ogni tanto ci farò una scappata per rendermi conto. Ieri ho ricevuto una mail del mio tecnico informatico che mi ha assicurato le correzioni sul mio sito per questa mattina. Ormai non ci contavo più. L’idea di creare un sito per la vendita dei miei romanzi thriller mi è balenata a marzo del 2010. Purtroppo mi sono affidato a un incompetente venditore di fumo, convertendomi in un analfabeta nelle mani di un pericoloso azzeccagarbugli che ha preteso pagamento anticipato. E’ passato un anno, più o meno, con promesse e rassicurazioni, prima che si decidesse a passare il lavoro a uno specialista, che però ha realizzato un sito pieno di imperfezioni, anche per il fatto che l’accorto azzeccagarbugli gli ha riservato una quota molto modesta rispetto a quanto aveva riscosso in anticipo. Mancanza di copertine nella presentazione, errori di ortografia, prezzi sbagliati. Fra poco aprirò il sito sperando in un miraggio. Il miraggio è apparso, ma solo per pochi secondi. Subito un incidente di percorso e sono dovuto uscire dal sito. Iconizzo questa pagina e riprovo. Stavolta il miraggio non è scomparso. Evviva. Ho rivisto Monti in televisione, a colloquio con i capoccioni di Eurolandia. Mi ha spaventato. Ha un’aria troppo ieratica. Un sommo sacerdote investito dalla dea Europa dell’imprescindibile impegno di scorticare gli italiani. Quello che mi da pensiero è che può farlo in tutta tranquillità. Non è un politico e non ha paura di perdere voti. Ma c’è di più. Lui si sforza di far capire, forse anche in buona fede, che le pesanti misure che ha ormai sulla punta della penna saranno provvisorie e dureranno per il tempo del suo mandato. Ma che cosa c’è nel nostro paese di più stabile e duraturo di quanto viene contrabbandato per provvisorio? Niente, specie se ci riferiamo a imposte e balzelli. Lo sappiamo tutti e Monti & Co. sanno che lo sappiamo e noi sappiamo che lui lo sa. Ma chi si stupirebbe se lo sentissimo canticchiare, tutto solo, magari mentre si sbarba con un pigro pensiero alla folla dei Pantalone scontenti e mugugnanti, la canzoncina che cantava Renato Rascel tanto tempo fa. Vi ricordate?

Mi fanno un baffo,

con lo stantuffo

sghignazzo e sbuffo

come un vapor,

che continua, con qualche piccola variante

A Casa Chigi

Sò’ ‘na potenza

Ci ho la licenza

Di spellator

La vita è bella, gente, ma è breve e le incazzature guastano il fegato e la circolazione. Qualche piccola dose di umorismo, quando è possibile, è sempre un buon antidoto.




lunedì 21 novembre 2011

diario di un qualsiasi nessuno

19 novembre 2011. Solo un eureka in formato ridotto. Stamattina soffiava l’alito di un moribondo. C’è stata qualche folata verso le dodici e mezzo, giusto quando sono rientrato per andare a pranzo. Al momento dell’attracco saranno stati già dodici nodi e cominciavano a formarsi le onde. Alle due e mezzo sono tornato al pontile per la seconda prova, sperando di ritrovare le cose come le avevo lasciate. Carburante gratuito, il vento, ma anche gran figlio di puttana. Si era ridotto a quattro o cinque nodi, forse anche meno, per di più intermittente e con il mare mosso. Di peggio, per provare una vela, c’è solo mare mosso e niente vento. Perciò, chi si accontenta, gode. Devo dire che se l’è cavata niente male. Sono uscito dal porto a vela e sono rientrato a vela. Sufficienza piena, ma l’EUREKA che mi ero ripromesso dovrà aspettare una giornata di vento che meriti questo nome. Vela che va, vela che non va, forse vale la pena di spendere due parole a vantaggio della chiarezza. Supponiamo di navigare per un tratto a vela da nord a sud con il vento in poppa, cioè da dietro. Nessun problema, basta aprire la vela, tenere dritto il timone e la barca va da sola verso sud. Poi si dovrà tornare indietro e non si potrà dirigere direttamente verso nord perché una barca a vela non può navigare contro vento. Può tornare verso nord navigando in una serie di diagonali, una volta a destra, una a sinistra, una a destra, una a sinistra e via di seguito. Diciamo in diagonali di 45 gradi ciascuna, che ti riportano al punto di partenza. Se una barca non riesce a navigare in diagonale, vuol dire che la vela non funziona, non è capace di farti ritornare al punto di partenza. Se una barca riesce a navigare seguendo diagonali più strette, diciamo 40 o 35 gradi, impiegherà meno tempo a tornare al punto di partenza. Dunque, se ho assegnato solo un sufficienza piena alla prova odierna è colpa delle diagonali piuttosto larghe, ma sufficienti. Non sarò stato chiaro, ma ci ho provato. Stamattina il vento è una sorta di oggetto misterioso, non si vede e non si sente. Le bandiere italiane all’ingresso del pontile, tutt’altro che garrule, si direbbero preoccupate per la catastrofe che incombe sul tricolore. Mi sono dato un po’ da fare, ho rinforzato la vela con un nastro adesivo speciale, specie nel punto in cui scorre la scotta, e ho incollato alcuni ganci su ambo i lati della barca, in alto, per fissarci un telone in caso di pioggia. Ora mi torna in mente che si tratta di una delle tante cose fatte e taciute al mio diario. Ho fatto il lavoro a terra, prendendo con facilità le misure direttamente sulla barca. L’ho ritagliato applicando poi ai margini una serie di occhielli con elastici da fissare ai ganci di cui parlavo. A dire il vero, avevo anche incollato i ganci, ma al primo uso se ne sono scollati cinque o sei. Giusto quelli rimpiazzati stamattina con diverso adesivo, garantito saldo, ostinato e irremovibile. Mentre ripercorrevo a ritroso il molo verso l’auto, mi pedalava incontro Lisà (Alessandro), figlio di pescatori, una vita sul mare, fonte inesauribile di ricordi, di un’Italia e di italiani del dopoguerra. Mi racconta ogni volta che ci vediamo e anche oggi è andata così e ho imparato cosa sono le galigate. E’ una parola dialettale dal significato piuttosto complesso, difficile da spiegare. Lui sa che ho fatto studi sul vernacolo, in particolare sui termini dialettali della marineria, e quando gli torna in mente un termine obsoleto, si affretta a riferirmelo con il giusto orgoglio di uno dei superstiti depositari di una cultura trascorsa. Da tempo ho in mente di mettere i suoi ricordi nero su bianco. Una riflessione salutare per chi pretende tutto e subito.

diario di un qualsiasi nessuno

18 novembre 2011. Ieri ho ascoltato il discorso del nuovo presidente del consiglio dei ministri (tutto in minuscolo, dubito che i nostri politici meritino ancora le maiuscole). Ha fatto sapere che nel nostro paese le tasse sono troppo basse e in certi casi del tutto inesistenti. Credo che chi le tasse le paga, tutte, dalla prima all’ultima, sia di parere diverso. Giusta la caccia agli evasori, siamo tutti d’accordo, ma bisognerebbe anche dare la caccia a chi dilapida i soldi dei contribuenti. Gli esempi più eclatanti, che immagino non siano che la punta dell’iceberg, li abbiamo davanti agli occhi, opere colossali iniziate e mai finite, oppure finite e mai utilizzate. Non sarebbe utile qualche indagine, poter risalire ai responsabili, che pure hanno un nome e un cognome? Mai sentito parlare di iniziative siffatte. Eppure, se si persegue la malasanità, almeno quando è possibile, perché non la malammistrazione del pubblico denaro? I fatti dicono, invece, che viene perseguito solo il contribuente, se non addirittura perseguitato, specie quando riceve bollettini già compilati per cifre non dovute. Ora che il fisco non si perita neppure di arraffare direttamente sulle pensioni di vecchiaia, senza neppure una notifica, è bene che nelle alte sfere, dove pare ci si appresti a riversare una grandine di bollettini già compilati su onesti cittadini, sappiano che il contribuente, quello che paga ed ha sempre pagato, si è rotto di uno stato amministrato da corrotti e incompetenti che l’hanno portato sull’orlo della bancarotta, neppure sfiorati dall’idea che toccherebbe a loro pagare i danni. Invece a pagare sarà la gente comune, cioè i soliti coglioni. Ma che cazzo, mi sono messo a parlare di politica, dà fastidio a me, figurarsi a chi legge. E’ come rimestare immondizia, forse anche di peggio. Parlarne seriamente è già un controsenso. Quando mai la politica italiana è stata seria? Parlarne sì, ma come di una commedia buffa. Diamo un’occhiata ai personaggi principali. Cominciamo con Berlusconi. La madre di mia nuora, londinese, mi ha riferito che in Inghilterra gira voce che abbia il cervello nelle mutande. Proseguiamo con Bersani. Un politico? Ma quando mai! Se mai un meteorologo disoccupato che si è arrangiato nella politica. -Il vento sta cambiando, il vento sta cambiando-, chi non glielo ha sentito ripetere ogni giorno per tutta la legislatura? Di Pietro? Un professore di latino, almeno in pectore, perché non credo che lo abbia mai studiato, almeno alle superiori. Però si sente che ce l’ha nel sangue, riesce a captarlo nell’aria, ad appropriarsene dai giornali, dalle voci altrui, anche se poi, nell’uso quotidiano, risulta monotono. Un disco inceppato su “Non si possono fare leggi ad personam per la durata della legislatura. Che dire di Fini? E’ qui, è là, non c’è più, è da un’altra parte, avrebbe potuto installare un tavolino in un piazza del mercato ed esibirsi nel gioco delle tre carte? Finisco con Franceschini, potenziale direttore insuperabile di un giornale scandalistico-moraleggiante. Bossi, visto com’è ridotto, meglio lasciarlo stare. Spero che per quello che ho scritto non mi si accusi di aver parlato di politica. Forse di contropolitica. E’ la stessa cosa? Non credo, io non tifo per nessuno. Passiamo ad argomenti seri. La filosofia, per esempio. Fu Archimede a gridare il famoso eureka per una scoperta che riguardava lo spostamento del volume dell’acqua, se ben ricordo. Io credo di aver trovato, proprio stamattina, il punto di attacco della drizza al pennone. Non posso giurarlo, per via del vento che si è fatto vivo per una diecina di minuti e senza troppo entusiasmo, ma quel poco mi ha dato buone indicazioni. Domani ci riprovo e se ho ragione inizierò la prossima pagina con un eureka speciale, tutto maiuscolo e in grassetto.

domenica 20 novembre 2011

La dodicesima grotta

In una sala appartata del Museo di Tel Aviv, un agente del Mossad (Servizi segreti israeliani), due funzionari e una segretaria tengono una riunione segreta. Si tratta di decidere un’operazione clandestina per il recupero di un antico manoscritto che contiene sbalorditive rivelazioni sulla vita di Maria Maddalena e sul suo presunto matrimonio con Gesù.Rinvenuto in una grotta di Qumràn, sulle rive del Mar Morto, esso è stato trafugato ed è finito nel caveau di una fondazione svizzera. Tuttavia non sono i soli a volerlo. Rivendicazioni di proprietà, interessi scientifici e di produttori cinematografici si intrecciano con intrighi di pericolose sette esoteriche e un assassino, abile e determinato, segue le orme del documento, disseminando il percorso di ignare vittime innocenti. L’azione scorre rapida in ambiente internazionale. Affiancano il protagonista, un giovane archeologo ginevrino, caratteri di contorno molto singolari, alcuni proiettati d'un tratto in situazioni imprevedibili e senza via d'uscita. Dal dialogo dei personaggi emerge, a volte, il forte contrasto con opere della produzione letteraria corrente, codici inclusi, basate su alcune scritture apocrife (vangeli non riconosciuti dalla Chiesa), del tutto incuranti delle molte ambiguità che queste ultime evidenziano.

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http://www.alettieditore.it/emersi/ott11/Paoluzzi.htm

giovedì 17 novembre 2011

diario di un qualsiasi nessuno

17 novembre 2011. Se finisci in mare d’estate, può trattarsi di un bagno imprevisto, indesiderato, ma vacci a finire in pieno inverno e può essere l’ultimo. Per i prossimi mesi vorrei evitare, benché a malincuore, il quasi Fly Junior, e uscire in mare con la barca più solida, con meno problemi di età, soprattutto con sartie affidabili e integra vetroresina. Ieri ho comprato un telone per la modesta spesa di diciotto € e ho tagliato una vela di prova. Si tratta del mio ultimo tentativo ufficiale di montare una vela latina sulla barca nuova. E’ ancora il mio grande amore, un amore difficile. Se andrà male, sarà il mio amore perduto, perché non ne vorrò più sapere. La prima che ho provato era di cinque metri. Non era male, ma troppo piccola. La seconda era di sette metri. Comportamento indecifrabile e anche troppo grande. Questa è di sei metri. Se è vero che la virtù sta nel mezzo, potrebbe essere la volta buona. Finito il pranzo, vado di fretta al porto per sfruttare quel paio d’ore o poco più di luce pomeridiana. E’ dura, ma ormai ci sono abituato. Tira giù il pennone, sposta la drizza, tiralo su di nuovo, non va, tiralo giù di nuovo, sposta di nuovo la drizza, abbassa il punto d’impatto sull’albero, solleva il punto d’impatto, ripeti tutto daccapo con la gente che ti guarda sospettosa dai pontili chiedendosi che cazzo stai facendo. Alle quattro e un quarto precise, proprio quando mi pare finalmente di stringere il vento, arriva un fulmine di bonaccia. Sull’acqua passa un enorme ferro da stiro. Neanche la minima increspatura. Galleggio su un mare liscio come l’olio. Ammaino e rientro. Se ne riparla domani. L’aggiornamento sulla navigazione finisce qui. Da oggi in poi, staremo a vedere. Che altro merita una menzione nel tempo in cui ho mancato di solidificare i ricordi? Le lingue straniere, certo, ma non per quello che ho fatto, piuttosto per ciò che non ho fatto. Se penso a quanta fatica mi sono costati l’inglese, il tedesco, il russo, il francese, lo spagnolo, che sto lasciando evaporare dal mio cervello come nebbia al sole, mi vengono le lacrime. Il fatto è che ho quasi smesso di viaggiare e non mi servono. Non è che manchino i buoni propositi –una mezz’oretta tutti i giorni dopo pranzo- , -mi porto dietro un libro in lingua e ne leggo un po’ se devo aspettare in qualche ufficio, o una persona, o non importa per quale altro motivo, oppure la sera, prima di addormentarmi- e così via. A volte ci provo sul serio, riesco anche a farlo per qualche giorno, poi la fiamma si spegne da sola, senza che neanche me ne accorga. Assenza di stimoli. Nel mio caso, di stimoli interiori. Pare che se ne siano andati, ma potrebbero essersi solo allontanati. Temporaneamente. Spero che tornino. Ora, per la verità, ne ho di altro genere, molto forti, ma spero lo stesso che tornino. Gli stimoli sono ricchezza, forgiano la vita. Anche se solo un parte di essi mi abbandonasse per sempre, sarebbe una gran perdita.

mercoledì 16 novembre 2011

diario di un qualsiasi nessuno

16 novembre 2011. I trenta minuti sono trascorsi, ho invitato anche i miei amici di Facebook a intrattenervisi, spero che li abbiano trovati interessanti. A me sono serviti per togliermi dalle dita la ruggine dell’inoperosità. Mi pare di aver già scritto, tempo addietro, di essere arrivato a metà del mio ultimo romanzo, di averlo poi trascurato per una serie di ragioni e di essermi ritrovato nel buio più fitto quando ho provato a rimetterci le mani. Non riconoscere i personaggi e non ricordare l’altra metà dei loro destini è stato deprimente. Sentivo anche la loro delusione. Le dita sembravano non riconoscere la tastiera, non essere più in grado di produrre dialoghi e descrivere situazioni. Depresse anche loro, come me. Chi scrive è come un atleta, deve tenersi allenato, sempre in forma. L’unico rimedio era riprendere gli allenamenti, scrivendo un paio di brevi racconti thriller poco impegnativi. Devo dire che ha funzionato. Quando ho rimesso le mani sul romanzo (che mi sono dovuto rileggere tre o quattro volte, riempiendo quattro o cinque fogli di annotazioni), i personaggi sono emersi dalle fitte nebbie in cui li avevo lasciati sprofondare e hanno ripreso a vivere. Hanno continuato a farlo, alcuni anche pericolosamente, per un altro centinaio di pagine, affidandomi di nuovo l’incarico, benché non lo meritassi, di raccontarne le vicende. Siamo all’ultimo capitolo, sta accadendo qualcosa di molto grave. Aspetto gli eventi con le dita sulla tastiera. Ho trascurato anche il mio diario, benché ad esso sia molto affezionato. Dopo quanti mesi ho ripreso a scriverlo? Basterebbe contarli, a partire dal 30 settembre del 2010, ma meglio non farlo. Sarebbe come scandire il tempo e non è mai incoraggiante. Che ho fatto in questo lungo periodo, un giorno dopo l’altro? Sicuramente avrò gioito, mi sarò incazzato e avrò avuto momenti sereni o insignificanti. Il fatto è che se mi sforzo di ricordare, mi si impigrisce il cervello e mi sento vorticare dolcemente nel vuoto. Niente. Sarà meglio riassumere per argomenti. Cominciamo con la barca nuova, si fa per dire, cioè quella comprata di seconda mano dal mio amico pittore. Di certo avrò già scritto che anni fa mi è stata regalata una vela latina bellissima, policroma, alta sette metri. Ho voluto provarla sulla mia barca di quattro, ma non sono riuscito a trovare una trave lunga a sufficienza per ricavarci un pennone. Mi sono arrangiato inserendo tre tubi metallici uno nell’altro fino a raggiungere i sette metri necessari. Ho finalmente issato la magnifica vela. Con poco vento sembrava cavarsela discretamente, tanto da rendermi moderatamente soddisfatto, ma proprio mentre rientravo, un colpo di grecale improvviso, del tutto imprevisto e spietato si è scaricato sul pennone metallico piegandolo come un bastoncino di liquerizia. Collaudo finito. Male. Non ho potuto che ammainare tutto e rientrare con il fuoribordo. A terra ho provato a dare una raddrizzata al pennone, chiamiamolo così, ma provare a riutilizzarlo sarebbe stata follia. Nei giorni seguenti ho ispezionato le varie, enormi e polverose rivendite di legname finché non ne ho scovata una provvista di travi di dodici metri in legno lamellare, dove erano perfino disposti a segarmi un troncone di sette metri. Per un attimo ho creduto di esserne venuto a capo. Purtroppo, però, se a una soluzione è legato un problema, non si tratta di una vera soluzione. Nella fattispecie, il problema era il trasporto, visto che non potevo azzardarmi a usare il portabagagli della mia Opel Corsa senza correre il rischio di far incazzare la stradale, con tutte le conseguenze immaginabili. Il venditore, da parte sua, non poteva far muovere un furgone per quella insignificante, sparuta consegna. L’ho pregato di includerlo, all’occasione, nella prima consegna di altro materiale a un indirizzo vicino al mio, o qualora il mezzo fosse passato da quelle parti. A suo comodo, senza fretta. Ha accettato di malavoglia, ma ha preso i soldi, lasciandomi intendere che era solo un mezzo impegno. Meglio che niente. Ho tirato in secca la barca, rinunciando momentaneamente alla vela latina, e ho rimesso in mare il quasi Fly Junior con randa e fiocco. Barca obbediente, con qualsiasi vento, con qualsiasi corrente. Il guaio è che ha più di quarant’anni e ci sono punti in cui la vetroresina si è fatta cartone. L’ho scoperto quando ci ho fatto un buco, puntando i piedi scalzi per cazzare la vela, con l’alluce del piede destro. Da allora, nelle giornate ventose, cerco di non pensare agli attacchi delle sartie e dello strallo e dopo aver attraccato vado sempre a darci una sbirciata. Ci ho passato tutta l’estate ed è stata comunque un’ottima compagnia. Disponibile alle manovre e divertente, specie quando guadagni mare a sufficienza da poterti permettere di scorrazzare con il vento sul giardinetto. Un razzo. Un’andatura che sconsiglia di pensare agli attacchi delle sartie, dello strallo e delle condizioni dello scafo. Non ci si può preoccupare di tutto. A settembre inoltrato, quasi ottobre, sono tornato dal rivenditore di legname senza più speranze. Mi ha restituito i soldi e abbiamo chiuso la faccenda. Però non ho rinunciato del tutto alla vela latina.

martedì 15 novembre 2011

diario di un qualsiasi nessuno

15 novembre 2011 - TRENTA SECONDI (ULTIMA PARTE)

-Bravo- gli dice, e allora apportiamo qualche modifica. La donna va a trovare l’uomo per qualche grave motivo di lavoro. E’ tanto arrabbiata che arriva ad aggredirlo, forse vuole denunciarlo. L’accusa sarebbe tanto grave che l’uomo pensa di ucciderla ed estrae la pistola. Spara ma l’automatica si inceppa. Adesso è la ragazza a essere terrorizzata e scappa con tutta l’energia che ha in corpo. Perde una scarpa, ma non si ferma certo a raccoglierla. L’uomo ha la pistola inceppata, inutile inseguirla. Si chiude dentro istintivamente, nel caso improbabile che la ragazza dovesse tornare per aggredirlo di nuovo. Torna verso il computer, ma passando davanti alla finestra, scivola malamente su un frammento di vetro o sul vino di cui è cosparso il pavimento, cerca di aggrapparsi a tutto ciò che ha intorno, sposta alcuni mobili, anche se di poco, e manda la lampada contro la finestra rompendo i vetri. Alla fine cade, batte con violenza la nuca sul pavimento e muore. Questo accade mentre la ragazza sta ancora a metà scalinata, correndo per salvarsi la vita. E’ probabile inciampi e perda tempo, sicché quando esce sono passati una trentina di secondi o poco più dalla rottura dei vetri, come riferito dalla testimone. Che ne dici?-
-Lo sapevo che ci saresti riuscito-, gli fa Perretti, ammirato.
-Piano, per ora è solo un’ipotesi, e anche poco sostenibile, se non facciamo combaciare tutto il resto- .
-Il tuo cliente misterioso che c’entra, per esempio?- chiede, per essere di aiuto.
-Caro Marco, credo che quell’uomo ci fornirà la soluzione del caso- Olindo si interrompe, forse ha intuito anche il resto.
-Quel signore è stato invischiato in un caso di spionaggio industriale ed è molto ansioso di trovare l’assassino. Perché tanta ansia? Crede che l’assassino si sia portato via qualcosa, fatto che non aveva previsto-
-Cosa può essersi portato via?- si domanda Perretti. -Il qualcosa che ha causato la lite fra la ragazza e il morto. Entrambi lavoravano nel reparto progetti e possiamo immaginare quanto possa valere una formula di un cosmetico di successo. A mio parere, uno dei due ha rubato una formula e l’altro ha cercato di recuperarla minacciando anche di denunciarlo-
-Allora è stato l’uomo a rubarla-, si butta Perretti.
-Perché?-
-Perché è stata lei ad andare da lui e lui ha cercato di ammazzarla- dice Perretti.
-Certo-, approva Olindo, soddisfatto. –Naturalmente il ladro aveva un committente anonimo, il nostro cliente misterioso--Che lo avrebbe contattato mostrando l’altra metà del biglietto da cento- conclude Perretti, ormai a suo agio con la teoria di Olindo. –E la pennetta, come mai era vuota?- chiede.
-Penso che il sig. Arcuri, il ladro, ne avesse già scaricato il contenuto nel computer, nell’intento di lasciare in giro meno prove possibile. Probabilmente la consegna sarebbe avvenuta l’indomani e allora avrebbe di nuovo salvato la formula nella pennetta per darla al committente-. Olindo è soddisfatto. Ha messo in moto qualche miliardo di cellule cerebrali, ma ne valeva la pena. Il giorno seguente espone le sue conclusioni all’avvocato, che immediatamente chiede un nuovo sopralluogo sulla scena del crimine. Vengono rilevati tagli impercettibili sulla mano destra del morto, sfuggiti a un primo esame. Viene riesaminato il computer. Fra centinaia di appunti e file di vario genere, viene individuata la formula di un cosmetico per rigenerare la pelle, evidentemente copiata dal computer del laboratorio, che ne contiene una identica. L’azienda conferma che si tratta di un’invenzione di incalcolabile valore. Con l’aiuto della foto e di un numero di cellulare rilevato dai tabulati telefonici delle chiamate all’agenzia investigativa, il maresciallo Montanelli rintraccia l’ambiguo sig. Orsomando, che viene trovato in possesso dell’altra metà del biglietto da dieci. Collima perfettamente. Viene riconosciuta l’esattezza delle conclusioni di Olindo, salvo per la causa del decesso. Il ladro era davvero scivolato sul liquido e sui frammenti di bottiglia, ma non era morto per il colpo alla nuca. Cercando un qualsiasi appiglio, aveva urtato la grossa piantana mandandola a sfasciarsi contro la finestra, ma aveva anche rotto la lampadina con una manata e sfiorato i filamenti interni per una frazione di secondo. Ai suoi due bypass era stato sufficiente. Quanto al compenso ricevuto, Olindo non deve alcuna restituzione. Contratto interrotto per colpa del committente. Più o meno...

lunedì 14 novembre 2011

diario di un qualsiasi nessuno

14 novembre2011 - TRENTA SECONDI (QUINTA PARTE)


-Vorrei essere aggiornato sulle indagini, se non le dispiace- La forma della richiesta è cortese, ma con venature di arroganza.
-Direi che è un po’ presto. In ogni caso, i particolari delle indagini in corso sono riservati, purtroppo anche per lei. Questo per evitare ogni possibile intralcio. Quanto ai risultati, sarà ovviamente il primo ad esserne informato- Chiarezza, innanzitutto, specie con i boriosi.
-Posso sperare in una soluzione rapida?-
-Certo, ci spero anch’io- Questo il succo della conversazione, da cui emerge l’urgenza di conoscere il nome dell’assassino. Perché tanta fretta? Non è per il costo del protrarsi delle indagini. Il denaro è la sua ultima preoccupazione.
-Senti, Perretti- dice al suo amico, se avessero arrestato tua moglie ingiustamente, ti interesserebbe di più che fosse scagionata o che venisse scoperto il vero colpevole?- Perretti ci pensa un momento.
-A me pare la stessa cosa, ma se proprio devo scegliere mi basterebbe che fosse scagionata-
-Non è la stessa cosa, ma è quello che volevo sentire- Perretti ci ripensa per qualche attimo.
-Hai ragione-, dice, -non è la stessa cosa-
-Secondo te, perché qualcuno dovrebbe vedere le cose al contrario e dare priorità alla scoperta dell’assassino?- Perretti ci pensa un momento, ma non è facile rispondere.
-Non lo so, ma è strano. E’ come se dovesse trovarlo per qualche altro motivo-
-Quindi, non per scagionare la donna-, conclude Olindo. –Sai che l’ho sospettato fin dall’inizio? Mi fa piacere che lo pensi anche tu- E’ solo un primo passo alla ricerca di un movente, ha ancora molta strada davanti a sé.
-Un’indagine è una partita a scacchi, ma né io né te abbiamo mai imparato. Peccato, perché ora bisogna muovere delle pedine. Ci proviamo insieme?-
-Ma certo-, approvò Perretti, poco convinto che gli sarebbe stato di grande aiuto.
-La prima pedina è il morto. Lavora nel reparto progetti di una grossa fabbrica di cosmetici. Quarant’anni, scapolo. La seconda pedina è l’accusata. Lavora quasi a contatto di gomito con la vittima. Trentacinque anni, nubile. La terza è Teresa Zannini, universitaria, corso di Biologia. Venticinque anni. Passa per caso ed è testimone dei fatti, ma solo in parte. La quarta è il sedicente innamorato, più interessato a scovare l’assassino che a scagionare la ragazza-.
-E i reperti?- fa timidamente Perretti.
- Ma certo-, approva Olindo, -Sono sempre di grande aiuto e a volte anche decisivi. Mettiamo al primo posto la scarpa della ragazza, prova determinante e inconfutabile della sua presenza sul luogo del delitto. Al secondo, l’automatica inceppata addosso al morto. Al terzo, la metà di un biglietto da dieci euro, di cui non è stata rinvenuta l’altra metà. Al quarto, la pennetta del computer, che secondo gli ultimi aggiornamenti era vuota. Al quinto, il computer, il cui contenuto è sconosciuto alla stampa. Al sesto, i frammenti di bottiglia e il liquido sparso sul pavimento. Sei d’accordo?-
-Ma certo- fa Perretti, che segue attento.
-Tutti questi fattori hanno interagito fino al momento dell’omicidio e oltre. Si tratta di stabilire come. In tutto il guazzabuglio, il primo problema da risolvere e quello della porta chiusa dall’interno- Olindo si ferma per una breve pausa di riflessione.
-La ragazza non può essere uscita correndo e poi aver chiuso la porta dall’interno, perciò la situazione va, deve essere pensata in modo diverso, non credi?-
-Che vuoi dire?-, chiede Perretti.
-Che nessuno può avere da obiettare se si sostiene che la porta può essere stata chiusa solo da una persona all’interno-
-Ma all’interno c’era il morto-, dice Perretti, pur sapendo che Olindo ha già in mente qualcosa.
-E’ vero-, concorda infatti Olindo. –E’ un ostacolo insormontabile, a meno che non si torni a ragionare in modo coerente e non si arrivi a pensare che all’interno ci fosse un uomo vivo-. Perretti naturalmente vorrebbe ripetere che era morto, ma tace.
-Siccome erano solo in due- dice Olindo chiudendo gli occhi per una maggiore concentrazione, -bisogna credere per forza che la ragazza sia uscita mentre il morto era ancora vivo e che sia stato proprio lui a chiudere la porta- Una nuova pausa. Sentiva che lentamente si stava avvicinando alla soluzione.
-Ma allora, chi l’ha ammazzato?- fa Perretti, sicuro che Olindo ha anche una spiegazione. Invece non ce l’ha ancora, ma ha di nuovo gli occhi chiusi.
-Non lo so,- gli risponde,-ma siamo proprio sicuri che è stato ammazzato? Mancano ancora il movente e l’arma del delitto. La ragazza è uscita senza oggetti in mano e niente è stato trovato per le scale-. Una nuova pausa. Stringe le palpebre sugli occhi come per spremere il cervello.
-Siamo sicuri che l’hanno ammazzato?- ripete, con maggiore convinzione.
-Un sacco di gente si ammazza da sola, dentro casa-, dice Perretti, - cade dalle scale, scivola, cade dalle finestre, dai balconi, piglia fuoco…- Era giusto quello che aveva in mente Olindo.

domenica 13 novembre 2011

diario di un qualsiasi nessuno

13 novembre 2011 - TRENTA SECONDI (quarta parte)


No-, si limita a rispondere, -la contatterò io-.
L’uomo se ne va e Olindo rimane solo. Guarda il denaro sulla scrivania, un bel colpo, ma dovrà trovare il modo di guadagnarselo. E’ il momento di accendere la sigaretta e mettere in moto qualche miliardo di cellule cerebrali. Prende il giornale che stava leggendo Perretti e scorre rapidamente l’articolo. I particolari non mancano, i giornalisti sono più ficcanaso dei detective. La situazione della ragazza, stando ai fatti, appare senza via di uscita. Una testimone la vede scappare subito dopo una colluttazione con la vittima, la sua scarpa sulla scena del crimine, evidentemente sfilatasi durante una fuga precipitosa. Per la polizia ce n’è d’avanzo, tanto che il particolare della porta chiusa dall’interno appare trascurabile. Pensano di risolverlo in un secondo tempo, è evidente. Dalle ultime indagini è emerso che la pistola trovata sul cadavere era inceppata. Quando aveva cercato di sparare, la vittima, senza riuscirci? Non c’era movente e neppure era stata rinvenuta l’arma del delitto. Particolari importanti, anch’essi ritenuti trascurabili. Per cominciare un lavoro serio, deve prima considerare i personaggi della storia, le possibilità di intreccio dei ruoli. Chi é il tizio che senza battere ciglio gli ha lasciato una grossa cifra in anticipo, per trovare l’assassino? La ragazza è davvero la sua amante? Perché sembrava più interessato a trovare l’assassino che a scagionare la donna? Per cominciare, prende la web cam nascosta fra i libri dietro la scrivania, la collega al computer e ne estrae un fotogramma soddisfacente. Ne stampa un paio di copie, poi fa un numero di telefono.
-Ciao, sono Olindo, hai un minuto?-
-Ciao. So già che è una rottura, ma un minuto non si nega a nessuno- Il tono è allegro, ma cauto. Le richieste di Olindo comportano spesso qualche rischio.
-Ti mando una foto, vorrei sapere chi è. Nient’altro-
-Lo sapevo. E’ un pregiudicato?-
-Non lo so, prova a vedere. Per favore-
-Mi mancano due anni per la pensione. Se mi cacciano, mi assumi tu?-
-Ci puoi giurare. Ma non ti cacciano. Ti mando una mail al solito indirizzo- Bellucci è un amico. Se può, lo aiuterà.
-E va bene. Ti richiamo-
-Guarda, che è urgente- insiste.
-Vattene al diavolo-. Lo sa che non dice sul serio. Sarebbe il caso di fare un sopralluogo sulla scena del delitto, ma la porta sarà ancora sigillata. Sarebbe il caso di parlare con la ragazza, ma forse non è ancora possibile. Sarebbe il caso di parlare con il suo avvocato, e questo è possibile. Vale la pena di fare un primo tentativo sulla rete. Nessun nuovo particolare, ma c’è anche il nome dell’avvocato. Si chiama Rosa Piani, non c’è indirizzo. Elenco telefonico, colpo di fortuna. Ci sono diverse Piani, ma un solo avvocato. Digita il numero, senza starci a pensare. L’avvocato è in tribunale, dovrà riprovare verso le cinque del pomeriggio. Bingo. Potrebbe anche voler collaborare. Che altro può fare, mentre aspetta? Il computer e la pennetta. Sapere cosa contenevano potrebbe essere di aiuto. Sta tornando Perretti, sente i suoi passi per le scale.
-Com’è andata?- Perretti risponde con un’aria soddisfatta. Tira fuori millecinquecento euro dalla tasca interna e li mette sul tavolo.
-E quelli cosa sono?- si sorprende, notando il denaro sul tavolo.
-Carburante, carburante per andare avanti- Perretti lo guarda disorientato.
-Porta tutto in banca- gli dice, -e paga le bollette. Se arrivi tardi, fallo nel pomeriggio. Poi ti spiego- Infila il giubbotto e se ne va a casa. A pranzo, la moglie gli serve un passato di verdure con il riso e un resoconto dettagliato di una lunga telefonata con la figlia, che ha trovato lavoro a Milano. Un piccolo problema di salute sembra scomparso, il lavoro va bene, l’unico problema è la distanza dal fidanzato, che sta frequentando un master negli Stati Uniti. Ingegneria elettronica. Finito il pranzo, fila a letto per un riposino. Di solito lo aiuta a riordinare le idee. Alle cinque prende la macchina e si reca dall’avvocato. L’indirizzo era sull’elenco. Non ha appuntamento, ma ci prova lo stesso. Ha fortuna. L’avvocato avrà quarant’anni, ha un bell’aspetto e sembra un tipo sveglio. Quando le dice del suo incarico, appare interessata, ma ha una notizia che brucia sul nascere ogni speranza di conoscere le dichiarazioni dell’accusata. Da quando è stata arrestata è in stato confusionale, non è in grado di riferire niente dell’accaduto. Non può essere di aiuto, almeno fino a quando non recupera il senno. L’avvocato imposterà la difesa sul particolare della porta chiusa dall’interno e sulla mancanza dell’arma del delitto, ma non sa quanto tutto ciò potrà essere efficace per scardinare la prova della scarpa. Gli confida un particolare, che non era sui giornali. Sul pavimento c’era una bottiglia rotta e il vino e i frammenti erano sparsi dappertutto. Quando Olindo lascia lo studio, ha meno speranze di quando era entrato, ma non dispera. Sa quanto sia importante il caso nella soluzione di enigmi del genere. Uscendo, si ricorda di chiedere della pennetta. Era vuota. Torna in ufficio e informa del nuovo caso Perretti, che quasi non ci crede. Verso le sette, una telefonata. E’ Bellucci. Per quanto protesti, alla fine cerca sempre di accontentarlo.
-Prendi la penna e scrivi. Quel tipo si chiama Aurelio Orsomando. Sì, Orsomando. E’ domiciliato a Roma, in via Nomentana, 150. Pare che sia un consulente, non si capisce bene di cosa. Un paio di anni fa è rimasto coinvolto in un caso di spionaggio industriale, ma è stato prosciolto. Non si è riusciti a trovare una connessione tra lui e chi ha fatto il lavoro sporco. Mi sono spiegato? Erano tutti convinti che fosse il mandante, ma non hanno potuto farci niente-
-Nient’altro?-, chiede, mosso dall’eccitazione.
-Che vuoi, una foto di famiglia con date di nascita e relativi indirizzi e numeri di telefono?-
-No, no, scusa. Ho parlato senza pensare. Mi sei stato di grande aiuto. A buon rendere-
-Una cena a base di pesce sul lungomare?- propone Bellucci, forze scherzando e forse no.
-Aggiudicato. Magari anche un paio di bottiglie di Verdicchio-
Ora è in vantaggio sulla polizia, perché dispone di un elemento che loro non hanno, il sig. Aurelio Orsomando, una scatola a sorpresa che dovrà aprirsi prima o poi. Ha anche saputo della bottiglia rotta, di frammenti e liquido sul pavimento. Ogni piccolo dettaglio, ogni piccolo dettaglio, non fa che ripeterselo. Per aver indagato un solo giorno, può ritenersi soddisfatto.
-Vado a casa- dice a Perretti, -pensa tu a chiudere-
-D’accordo. Come va l’indagine?-
-Ci vorrà ancora un po’-, risponde, aprendo la porta. A conclusione della giornata, lo aspetta un pollo alla diavola squisito. In cucina, sua moglie ci sa fare.
-Lascia perdere le indagini e goditi la cena-. Glielo ripete tutte le sere, e lui le dà ascolto. Il mattino che segue comincia con una telefonata del suo committente misterioso.

sabato 12 novembre 2011

diario di un qualsiasi nessuno

TRENTA SECONDI (Terza parte)


-Bene-, dice, -se le viene in mente a chi appartiene questa faccia, mi informi immediatamente. Può andare- Il direttore si avvia scervellandosi sull’identikit. Somiglia a qualcuno che conosce, ma, per il momento, non si rivela. Poi, all’improvviso, ricorda, torna indietro e chiede di rivederlo.
-Somiglia molto a una nostra dipendente. Non la conosco di persona, ma la vedo spesso in azienda. Credo che sia occupata al laboratorio progetti. Non so come si chiami, ma se fate un salto da noi, non ci vorrà molto a scoprilo. Se vuole, posso informarla per telefono.- Non tutti credono ai colpi di fortuna e il maresciallo non ci crede.
-Ne è sicuro?- chiede, a conferma.
-Credo proprio di sì-, risponde il direttore.
-Bene-, conclude il maresciallo, -verremo noi-.
Dopo il colloquio le indagini sembrano prendere una svolta decisiva. I carabinieri si recano in azienda e chiedono di vedere la donna. L’identikit non è molto somigliante, ma sufficiente per convalidare pesanti sospetti. La donna viene portata in questura e interrogata, e quando le viene chiesto dove si trovasse all’ora del delitto, non sa rispondere in modo convincente. Le viene anche mostrata la scarpa, che dichiara di non riconoscere. Viene perquisita la sua abitazione, l’altra scarpa è irreperibile. Teresa Zannini viene invitata per il riconoscimento. Le pare che sia lei, ma l’ha vista troppo di sfuggita per esserne certa. L’indagine è in fase di stallo, proprio quando il maresciallo Montanelli credeva di aver messo le mani sull’assassina. Tutto quello che ha è un identikit, che neppure la testimone sa confermare, e una donna cui manca un alibi. Niente movente o arma del delitto. Montanelli siede alla scrivania e si passa la mano sulla fronte larga e spaziosa, dove i capelli rossicci sono solidamente radicati al punto giusto, si pizzica la barba rossiccia che tiene corta e ben curata, si chiede da dove ricominciare. Bussano alla porta. Entrano due degli agenti che indagano negli outlet e nei negozi di calzature. Con l’aiuto della foto, hanno individuato il negozio dove la donna ha comperato le scarpe. La commessa non ha avuto dubbi. Per di più il pagamento è stato effettuato con carta di credito intestata alla sig.na Almide Belli, impiegata presso la Cosmesi Italia.
-Finalmente una prova-, sbotta Montanelli, -e siamo anche sicuri che lavoravano insieme-, poi si rivolge agli agenti –Bravi-, fatemi un bel rapporto-.
Il fermo della donna viene commutato in arresto, malgrado continui a proclamarsi innocente. Il caso è chiuso, almeno per il maresciallo Montanelli. D’ora in avanti, ci penseranno i magistrati.
-Alla fine l’hanno arrestata- dice Perretti, che ozia con il giornale in mano e i piedi sulla scrivania. Olindo non ci fa caso, sa che gli piace assumere atteggiamenti all’americana.
-Siamo a corto di cialde- gli rammenta, mentre sorbisce il caffè, in piedi vicino alla macchinetta. La mattinata si mette noiosa. Fra poco manderà Perretti a consegnare delle foto e a incassare. C’è da pagare l’affitto, la luce e il gas. Un sacco di soldi per il gas. Invernata terribile. Verso le dieci e mezzo Perretti toglie i piedi dalla scrivania e getta il giornale.
-Che dici, vado?- chiede a Olindo, che ha già preso una grossa busta gialla e gliela porge.
-Ecco le foto-, dice, -niente grana, niente consegna- Perretti esce e si avvia giù per le scale. E’ riuscito a parcheggiare in una strada laterale, a due passi, giusto davanti a un bar. Prima di sbrigare l’incarico, si prenderà un caffè e butterà cinque euro per un gratta e vinci. Mai che avesse vinto una volta. Olindo lo sa, ma non gli dice niente. Del resto è un po’ scemo anche lui, che non si decide a smettere di fumare. Cava di tasca il pacchetto, ma squilla il telefono.
-Agenzia investigativa Occhio di lince-
-Buongiorno, vorrei parlare con il titolare- E’ un uomo, ha un tono di voce basso, piuttosto arrogante.
-Il titolare sono io. Lei chi è?-
-Non importa. Posso avere un appuntamento con una certa urgenza?- Se non vuole dire il nome avrà i suoi motivi, ma dovrà pagare in anticipo.
-Se è urgente, venga fra mezz’ora, il tempo di concludere una pratica. Conosce l’indirizzo?-
-Lo conosco. Sarò da lei alle undici e mezzo-
Olindo fa sparire le tazzine del caffè e toglie di torno tutto quello che sa di lunghe attese e poche aspettative. Alle undici e mezzo in punto si presenta un uomo sul metro e settantacinque, con indosso un completo grigio gessato e un cappotto scuro. Quanto a disponibilità, appartiene a una fascia superiore. Olindo lo fa sedere all’altro lato della scrivania e si siede a sua volta. Nell’uomo nota una traccia di imbarazzo. Non si tratta di emozione o suggestione, ma di qualcosa che sul momento non riesce a definire.
-Se vuole, possiamo cominciare- lo invita.
-Vengo subito al punto. Lei avrà certamente seguito il caso dell’omicidio di Remigio Arcuri, un dirigente della Cosmesi Italia, che ha la sede in città- l’uomo lo fissa, in attesa di conferma.
-Non nei particolari-, dice Olindo, -ma continui pure-
-Dell’omicidio è stata accusata una ragazza, assolutamente innocente ed estranea al crimine. Il mio interesse è dovuto alla relazione di stretta amicizia che intrattengo con la ragazza. Di questa relazione nessuno deve venire a conoscenza, anche a danno della sua indagine. Sono stato chiaro?-
-Direi di sì-, risponde Olindo, -la relazione resterà un segreto. Se questo causerà una difficoltà insormontabile, mi riservo di interrompere le indagini a sue spese. Inoltre, qualora il contratto venga rescisso per colpa del committente, non ci saranno rimborsi-. Tace in attesa di conferma.
-Siamo d’accordo-, dice l’uomo, dopo qualche attimo di esitazione.
-Solo per la prassi, naturalmente, vorrei che mi precisasse che cosa vuole esattamente- Niente equivoci, con questo tizio.
-Che mi trovi l’assassino- Facile a dirsi, più difficile a farsi, pensa Olindo, che non ha ancora in mano uno straccio di indizio.
-Potrei anche limitarmi a dimostrare l’innocenza della sua amica, se è questo che le preme, le costerebbe anche meno-, dice, ma è poco convinto, perché il tizio che ha di fronte non farà certo questioni di denaro.
-Non baderò alla cifra, purché mi trovi l’assassino-. Un’altra bizzarra intuizione sembra suggerirgli che l’uomo non sia affatto interessato all’innocenza della ragazza, ma che, per qualche motivo, abbia bisogno dell’assassino. Non sete di giustizia o vendetta, qualcosa di diverso.
-D’accordo. Duecento al giorno per le spese, più cinquemila alla settimana. Se vuole restare anonimo, dovrà pagarmi seimilaquattrocento euro all’inizio di ogni settimana, a partire da adesso. Potrebbero anche servire due o tre settimane- La parcella è alta, ma comprende anche qualche rogna che questo tizio si porta dietro. In queste faccende ha buon naso.
-D’accordo-, acconsente l’uomo senza battere ciglio. Estrae dalla tasca interna mazzette di banconote fermate con il nastro adesivo. Ce ne sono da cento e da cinquecento. Sfila dodici biglietti dalla mazzetta da cinquecento e quattro da quella da cento e le ordina sopra la scrivania. Olindo sa che la domanda è idiota, nel caso specifico, ma deve farla.
-Desidera una ricevuta?- L’uomo gli rivolge uno sguardo connivente.

venerdì 11 novembre 2011

diario di un qualsiasi nessuno

TRENTA SECONDI (Seguito)


Dal verbale, nelle mani del maresciallo anziano Montanelli, che funge da comandante della stazione, risulta che al quarto piano di via Foscolo un uomo è stato ucciso con un colpo alla nuca portato con un corpo contundente, non rinvenuto sulla scena, dopo una colluttazione che ha provocato lo spostamento di alcuni mobili e, in particolare, la caduta di una lampada a stelo finita contro i vetri di una finestra, frantumatisi e caduti sulla strada sottostante. Infilata sotto la cintura, l’uomo aveva un’automatica carica. Sfondata la porta, che era serrata dall’interno e ulteriormente assicurata tramite una catenella, sono stati rinvenuti, oltre al cadavere e all’automatica, una pennetta da computer, un computer, i resti di una bottiglia e liquido sul pavimento, la metà di un biglietto da dieci euro e una scarpa da donna, il tutto al vaglio degli esperti. L’unica testimone, la Sig.na Teresa Zannini, presente in strada al momento dell’evento, ha riferito di una donna fuggita attraverso il portone, con indosso una sola scarpa.
Il mattino seguente, Teresa si trova alla Stazione dei carabinieri per fornire ulteriori dettagli. E’ in preda a una leggera emozione, è la prima volta che viene convocata dai carabinieri, è la prima volta che le viene richiesta una deposizione scritta riguardante un omicidio, ma ricorda bene e riferisce correttamente.
-Non ricorda se la donna avesse in mano qualcosa?- Si sforza di ricordare.
-Di che genere?- chiede.
-Un oggetto qualsiasi, di un certo peso, come un soprammobile, o un attrezzo come un martello, un paio di pinze, cose del genere-
-L’ho vista solo per un attimo- dice, mentre si sforza di ricordare.
-Ci pensi, con calma- Non le viene in mente nessun oggetto.
-Non mi pare- risponde.
-Nessuna certezza?-
-Non ne sono certa, ma non mi pare- ribadisce, dolente.
-Quanto tempo è passato fra la rottura del vetro e il momento in cui la donna è uscita correndo?- Questo lo ricorda.
-Poco tempo- risponde.
-Dieci secondi, venti, trenta, un minuto?- Teresa fa fatica a concentrarsi.
-Trenta secondi, forse di più, ma meno di un minuto, credo-
-Di questo è assolutamente certa?-
-Direi di sì- La testimonianza scritta, a parte un identikit fatto in chiusura e la precisazione del tempo impiegato dalla ragazza per scendere le scale, non appare di grande utilità agli inquirenti. Manca l’arma del delitto e permane il mistero della porta chiusa dall’interno. Mentre gli esperti esaminano gli oggetti trovati sulla scena del crimine, il maresciallo Montanelli fa fotografare la scarpa e incarica un paio di agenti di indagare nei negozi di calzature del luogo. Una ventina. Spera in un colpo di fortuna per risalire all’identità della donna. Quanto all’uomo, è un dirigente di una fabbrica di cosmetici. Le indagini vengono indirizzate anche in questa direzione.

L’agenzia di investigazioni Occhio di lince è in attività da un paio di mesi. Il titolare si chiama Olindo Ferri, un ex detective della squadra omicidi in pensione. Il suo unico collaboratore, Marco Perretti, viene da un’agenzia immobiliare. All’interno di essa, non brillava per acume e produttività, ed è stato uno delle prime vittime della crisi e del conseguente esubero di personale. Sebbene inesperto nel settore investigativo, il Ferri gli è amico e ha voluto dargli una mano. Lo lascia in ufficio quando lui è fuori e se ne serve per qualche commissione. L’agenzia è agli inizi e il lavoro è scarso. Finora ha riguardato mariti con le corna e mogli con le corna, foto, testimonianze, separazioni e divorzi. Un vero schifo per Olindo, avvezzo a ben altro tipo di indagini, ma la pensione e quello che è, e lui ha famiglia. Entrando in ufficio, il giorno seguente ai fatti narrati, viene informato da Marco che non ci sono nuovi casi, ma proprio in quel momento squilla il telefono. Falso allarme. L’amministratore dello stabile lo informa che sono stati riveduti i millesimi condominiali e presto ne avrà comunicazione scritta. Sulla scrivania trova i due quotidiani che Perretti ha il compito di acquistare ogni mattina prima di recarsi in ufficio. Uno dei due cura la cronaca locale. In prima pagina hanno sbattuto la foto del morto, un dirigente di laboratorio in una fabbrica di cosmetici, e nell’articolo a fianco c’è un dettagliato resoconto di tutti i particolari del misfatto.
-Curioso-, commenta a mezza voce, quando apprende della porta serrata dall’interno e del biglietto da dieci euro a metà. Poi si mette a scrutare i muri imbiancati da poco, i quadri dai colori appariscenti acquistati nei supermercati, le suppellettili nella stanza, una per una, e infine gli occhiali sul naso di Perretti.
-Che c’è?-, gli fa questi.
-Niente, niente-, risponde soprappensiero.

Per la prima volta, da quando comanda la stazione, Montanelli ha un caso vero. Cerca di sveltire i sopralluoghi nei negozi di calzature e convoca il direttore generale della Cosmesi Italia, per informazioni sulla vittima. Ne risulta un tipo tranquillo, sufficientemente dedito al lavoro, che non ha mai causato difficoltà all’azienda.
-Conosce qualche motivo per cui potesse avere dei nemici?- chiede il maresciallo.
-Direi di no-, risponde il direttore, -no, in realtà non ne conosco. Era un tipo piuttosto riservato. –
-Le risulta che avesse un’amante, rapporti particolari con una donna?- prova a chiedere il maresciallo.
-So che è scapolo-, dice il direttore, -ma non saprei dirle della sua vita privata- Che non aveva moglie lo sapevano già.
-L’ha mai visto con questa donna?-, insiste il maresciallo, mostrando l’identikit e scrutando ogni reazione. Il direttore appare perplesso.
-Non credo-, dice, -anche se..-
-Anche se?- preme il maresciallo.
-Non è una faccia nuova, somiglia a qualcuno, ma..non saprei dire- Il maresciallo aspetta una trentina di secondi, infine rinuncia. (continua)

mercoledì 9 novembre 2011

diario di un qualsiasi nessuno

10 novembre 2011 Sincera contrizione per aver trascurato il mio diario, ma nel frattempo devono essere accaduti fatti che mi hanno distratto. Inutile chiedermi quali fatti, o dovrei ricorrere a una banalità come quella del serpente che si morde la coda e dire che mi tornano in mente in modo confuso e incompleto per la sola ragione di non averli annotati nel mio diario. L’unico evento eclatante che ricordi è che il mio guru informatico ha finalmente riattivato il link con il mio sito. Mi rendo conto, non è gran che come inizio, ho accumulato un sacco di ruggine, per oggi basta così. Vado a rinfrescare la penna in un racconto thriller molto breve, forse gradirà leggerlo anche qualcuno cui capiti di incappare in questo scritto.


T R E N T A S E C O N D I

Seguiamo Teresa Zannini, ventitreenne iscritta alla facoltà di Biologia, di ritorno da una lezione di pilates, diretta a casa lungo un viale poco illuminato, parallelo al recinto ferroviario, fiancheggiato da case da un solo lato, che le incute qualche timore per via delle aggressioni e degli stupri riportati dalla cronaca. Sta pensando a Tom, che in realtà è italiano e si chiama Tommaso, ma come tanti giovani anglofili, sarà per via degli hits musicali o dei videogames, preferisce il nome abbreviato all’inglese. Con la scusa di un deodorante, proprio quella sera le ha rivolto la parola. Spera che si faccia avanti anche alla prossima lezione, oppure toccherà a lei inventarsi qualcosa. Un fragore di vetri spaccati distoglie i suoi pensieri da Tom. Grossi frammenti cadono sulla strada, frantumandosi a pochi metri da lei. Solleva d’istinto lo sguardo e distingue la finestra da cui provengono. Il piatto di una grossa lampada, o qualcosa di simile, sporge dall’interno ed è certamente la causa dell’incidente. Passano pochi secondi e una donna si precipita fuori del portone con il diavolo alle calcagna. Le passa davanti come un fulmine, malgrado zoppichi in modo strano. Riesce a darle una sbirciata. E’ bionda, fisico slanciato, indossa un cappotto scuro dal taglio elegante. Le manca una scarpa. Il motivo della strana zoppia. Teresa rimane dapprima interdetta, poi estrae il cellulare, digita il 118 e rimane ad aspettare. L’auto dei carabinieri arriva dopo dieci minuti sulla strada deserta e poco illuminata. Il brigadiere De Meo e l’appuntato Sallustri scendono e le si avvicinano. E’ sopraffatta dall’emozione, ma riesce a riferire l’accaduto. Mostra ai due militari i frantumi a terra e la finestra con la lampada sporgente, riferisce il particolare della ragazza in fuga senza una scarpa.
Bene-, fa il brigadiere De Meo, andiamo a dare un’occhiata. Sia cortese e aspetti. Si sieda in macchina, se vuole- Teresa deve prima vincere una sensazione di disagio, poi obbedisce. I due militari salgono di corsa le scale e raggiungono il quarto piano, identificano la porta e bussano. Nessuna risposta. Provano ancora a bussare. Silenzio. L’appuntato retrocede di qualche passo.
-Sfondiamo?- chiede al brigadiere.
-Sfondiamo, ma prima i guanti- L’appuntato Sallustri è alto un metro e ottanta e ha due spalle da lottatore. Sfonda la porta alla terza spallata.
-Guarda un po’-, dice De Leo, mettendo piede nell’appartamento al buio. La chiave è infilata nella serratura, dall’interno. Prova a girarla. Due mandate. Quattro o cinque inquilini hanno raggiunto il pianerottolo. Qualcuno va a riallacciare il contatore e torna la corrente.
-Era chiusa dall’interno-, fa notare a Sallustri.
-Aveva inserito anche la catenella di sicurezza-, dice l’altro.
-Una gatta da pelare- conclude De Meo, dirigendosi verso il centro della stanza. C’è un uomo disteso a terra, un brutto colpo alla nuca e sangue sul pavimento.
-Lo hanno conciato per le feste-, dice Sallustri.
-Lo hanno conciato per il cimitero- precisa De Meo, dopo aver premuto leggermente l’indice sulla carotide.
-Che razza di casino. Quello cos’è?- Benché indossi i guanti, Sallustri si guarda dal rimuovere o prendere in mano oggetti, si china per vedere meglio.
-Un biglietto da dieci strappato a metà. Che ci faceva questo con i soldi, ci accendeva le sigarette?- De Meo non risponde. Sta osservando gli oggetti sul pavimento. Una scarpa da donna. Una sola. La donna che scappava aveva lasciato la stanza molto in fretta. Poco distante c’è una pennetta, uno di quei minuscoli aggeggi capaci di salvare una quantità di file dal computer. Sopra una piccola scrivania, sul lato della stanza, c’è anche un computer, un piccolo portatile. Una bottiglia rotta sul pavimento, frammenti e vino, almeno dall’odore, sparsi per la stanza.
-Chiama subito la Scientifica-, dice De Meo. I tecnici non impiegano molto a raggiungerli. Quando hanno finito, arriva l’ambulanza e si porta via il cadavere. La ragazza viene accompagnata a casa e invitata a presentarsi al Comando il mattino dopo. Vengono apposti i sigilli alla scena del crimine e finalmente gli agenti possono tornarsene in caserma a redigere il verbale. (continua)

diario di un qualsiasi nessuno

Giovedì, 30 settembre 2010. Benitez mi ha smentito alla grande con un secco quattro a zero al Werder Brema. A parte il risultato, l’Inter ha giocato una bella partita. Del Neri è in agguato e sarà quello il momento di verificare se mi sono sbagliato. Non ho niente contro l’Inter, anzi, le dobbiamo tutti momenti di esaltazione del gioco del calcio, ma sono troppo convinto che chiunque raggiunga vette eccelse, poi trovi faticoso rimanerci e non veda l’ora di scendere. Il successo è costrizione. Dover soddisfare le aspettative di chi non vorrebbe mai smettere di incensarti. Poi c’è il livore dei vinti, che mai si esprime direttamente, ma sempre casualmente, indebitamente, magari per voce di un falso cronista che milita in tifoserie avverse. Potrei anche fare qualche nome, ma in un paese, per dirne una sola fra le tante, dove la benzina cresce anche quando il petrolio cala di prezzo, a chi potrebbe importarne di meno?